Lele Mora, casta e debito pubblico

Non è vero che quello di Mario Monti è il governo che ha fatto aumentare di più il debito pubblico italiano, non è vero che in Italia sono fallite 600 mila imprese e non è vero che la casta costa all’Italia 100 miliardi ogni anno. Sono alcuni degli errori e delle imprecisioni commessi ieri nella puntata di Piazza Pulita.

L’imprenditore Ernesto Preatoni ha sostenuto che nessun governo nella storia d’Italia ha mai creato così tanto debito pubblico come quello di Mario Monti. Preatoni ha detto anche di aver fatto «due calcoli»: secondo lui, il governo Monti ha prodotto il 60% di debito pubblico in più rispetto al governo Berlusconi. Preatoni non ha spiegato se il governo Monti avrebbe creato più debito in senso assoluto oppure in rapporto al PIL, ma in entrambi i casi le sue affermazioni sono false.

Vediamo i valori assoluti del debito, cioè il nudo e crudo valore del debito in miliardi di euro. All’inizio del governo Monti, era il novembre del 2011, l’Italia aveva 1.897 miliardi di debito pubblico. Alla fine del suo mandato erano poco meno di 2.000, secondo le ultime stime che non sono ancora ufficiali: un aumento di poco più i 100 miliardi. Il governo Berlusconi al suo insediamento trovò un debito pubblico di 1.602 miliardi che, come abbiamo visto, ha portato nel 2011 a 1.897: un aumento di quasi 300 miliardi.

Vediamo i valori in percentuale rispetto al PIL. Con Monti questo rapporto è passato dal 120% al 126%. Con Berlusconi è passato dal 103% della fine del 2007 al 120% del 2011. Potete consultare tutti i dati in questa tabella del Fondo Monetario Internazionale – dove potete vedere l’aumento del debito pubblico anche durante il secondo governo Berlusconi.

Corrado Formigli ha sostenuto che l’Italia è la settima potenza economica mondiale. Si tratta di una classifica che può essere fatta sulla base di diversi indicatori economici. Quella più diffusa, a cui probabilmente si riferiva Formigli, è quella basata sul valore nominale del PIL. In questa classifica l’Italia si trova all’ottavo posto, non al settimo.

Beppe Grillo ha sostenuto in un’intervista che in Italia «se ne sono andate» 600 mila imprese (supponiamo intendesse dire dall’inizio della crisi) con un ritmo di 35 fallimenti al giorno. Non ci sono stime ufficiali sul numero di imprese che hanno chiuso in Italia a causa della crisi. C’è però una stima di una società privata che ha avuto molta pubblicità: secondo questa stima in Italia nei primi nove mesi del 2012 sono fallite più di ottomila imprese, mentre dal gennaio 2009 hanno chiuso 35 mila imprese. Secondo queste stime 35 imprese al giorno sono fallite nei primi 6 mesi del 2012. Con questo ritmo, per arrivare alle 600 mila imprese di cui ha parlato Grillo, ci sarebbero voluti 46 anni (vedi sotto le correzioni).

Secondo il senatore Maurizio Gasparri alcuni sondaggi darebbero la coalizione di centrodestra a quattro punti percentuali di distacco da quella di centrosinistra. Gasparri non ha specificato l’istituto che si è occupato di effettuare questa rilevazione. Nessun sondaggio pubblicato da 3 mesi a questa parte mostra un distacco simile, quindi o il sondaggio citato non è mai stato divulgato oppure Gasparri si è semplicemente sbagliato.

Peter Gomez, del Fatto Quotidiano, ha sostenuto che «in tutto il mondo si sono convinti che il nucleare non funziona». Un’affermazione un po’ imprudente visto che al momento soltanto Germania e Svizzera hanno completamente rinunciato all’energia nucleare, mentre il Giappone ha riattivato alcune delle centrali nucleari che erano state chiuse. Tolti questi 3 paesi, ce ne sono altri 27 che hanno mantenuto le loro centrali nucleari. A fronte di queste rinunce, secondo la World Nuclear Association, 45 paesi stanno considerando di costruire centrali nucleari (una cifra da prendere con le molle, visto che tra i paesi è considerata anche l’Italia). Un dato più sicuro lo offre la Europena Nuclear Society, che indica 68 impianti in costruzione in 15 diversi paesi.

Santo Versace, senatore del gruppo misto, ha sostenuto che in tutto la «casta politica» costa allo stato 100 miliardi ogni anno. Si tratta di una cifra mostruosa, che avrebbe dovuto far storcere il naso a chiunque. Come avevamo scritto nella scorsa puntata – a proposito della supposta evasione fiscale da 98 miliardi dei concessionari di slot machine – cento miliardi sono un ventesimo di PIL e un sesto del totale della spesa pubblica del nostro paese.

La stima più larga attualmente disponibile sul costo della politica è stata fatta dalla UIL, un sindacato, quindi non da una fonte ufficiale. Questa stima riporta come costo totale della politica e del suo indotto 11,6 miliardi di euro, un decimo delle cifra riportata in trasmissione. La stima comprende i costi del parlamento, degli organi costituzionali, di regioni, province e comuni, i costi delle consulenze esterne e quelli per gli stipendi degli amministratori di società partecipate dallo stato.

Per la consueta nota leggera parliamo di escort. Piazza Pulita si è concluso ieri con una lunga intervista a Lele Mora, ex agente televisivo, da poco uscito dal carcere in seguito ad una condanna per bancarotta fraudolenta. Durante l’intervista è andata in onda un’intervista a Nadia Macrì, una escort che sostiene di aver partecipato a numerose feste nella villa di Arcore e in quella in Sardegna di Silvio Berlusconi, di aver conosciuto Ruby, di aver visto droga nelle feste di Berlusconi e di aver fatto sesso con lui diverse volte.

Formigli non ha detto nulla per presentare o contestualizzare il personaggio – ha detto soltanto che è una escort – e niente è stato detto o specificato dall’intervistatrice. È chiaro che ogni giornalista ha il diritto di intervistare chi vuole, facendogli le domande che preferisce, ma forse – in questo caso – non avrebbe guastato ricordare alcuni fatti agli spettatori poco esperti del processo Ruby.

La credibilità di Nadia Macrì come testimone è stata messa in dubbio da molte persone, tra cui: la madre, un’amica, un ex-socio, un ex-fidanzato e l’ex-marito. Tutti hanno rilasciato dichiarazioni in cui parlavano della scarsa affidabilità di Macrì e della sua abitudine a non dire esattamente la verità. Lei stessa è apparsa in alcune interviste piuttosto incerta e confusa e si è spesso contraddetta. Ma il fatto più importante trascurato da Formigli è che Macrì non è presente nel lungo elenco di testimoni – 132 in totale – convocati dalla procura di Milano per il processo Ruby. Quest’ultimo dettaglio lo ha ricordato solo Lele Mora e non è stato ne confermato ne smentito da Formigli, lasciando allo spettatore l’impressione che in gioco ci fosse la parola di Mora contro quella di Macrì.

Correzione
In una prima versione dell’articolo avevamo parlato di “imprese chiuse”. Il dato invece riguardava le imprese fallite. Le imprese semplicemente chiuse, e non fallite, sono molte di più. La leggerezza è stata nostra e ci scusiamo dell’errore. L’espressione usata da Grillo, “se ne sono andate”, è ambigua: si tratta di un dato plausibile se intendeva dire “chiuse”, ma trae in inganno se accostato al numero dei fallimenti. In ogni caso, il numero di imprese che chiudono in un anno – non di quelle che falliscono – va sottratto al numero di quelle che aprono. Nel 2012, ad esempio, nonostante abbiano chiuso 120 mila imprese, ne sono state aperte quasi 100 mila, quindi il saldo negativo è di “solo” 26 mila.

Davide De Luca

Giornalista. Ho scritto per l’Arena di Verona e per l’Agence Europe di Bruxelles. Ho collaborato ad alcuni libri d’inchiesta su CL e la finanza cattolica. Mi piacciono i numeri e l’economia e cerco di spiegarli in modo semplice. Su Twitter sono @DM_Deluca