Gli editori, il web e il copyright

Mentre Google sigla un accordo di collaborazione con la Federazione Italiana Editori Giornali, la Commissione Europea ha in corso una consultazione pubblica sul ruolo degli editori nella catena del valore del copyright.

Le due vicende hanno evidentemente una matrice comune e forse l’intesa di questi giorni ha una stretta correlazione con la consultazione che si chiuderà il 15 giugno, ma mentre la prima rappresenta un accordo commerciale giocato sul (libero?) mercato, quello che stanno meditando a Bruxelles su copyright ed editori potrebbe avere un impatto assai più significativo sul futuro del web in Europa. L’esito della consultazione riguarda tutti noi: noi come fruitori di news sul web, noi come spammatori di link sui social, noi come autori di commenti e post sui blog; riguarda i giornalisti, gli scrittori e chi con lo scrivere ci vive; riguarda anche la ricerca, l’accesso alle pubblicazioni scientifiche e più in generale la capacità per le imprese europee di innovare sul web.
In ultimo, ovviamente, riguarda gli editori, in particolare quelli del mondo dell’informazione, i cosiddetti press publisher, che si accordano con Google ma premono sulla Commissione Europea per modificare la legge sul copyright.

Gli editori, soprattutto gli editori dei giornali, chiedono che sia loro attribuito un nuovo diritto esclusivo di copyright la cui finalità è evidentemente quella di drenare nelle loro casse un po’ dei soldi generati sul web dai nuovi intermediari dell’informazione, Google, Facebook, Twitter e i vari aggregatori di contenuti e news; quali titolari di un nuovo diritto esclusivo gli editori potrebbero inoltre finalmente beneficiare del mitico equo compenso, la tassa che tutti paghiamo su ogni dispositivo, dall’hard disk allo smartphone. Una torta questa che nel 2010 ammontava a oltre 600 miliardi in Europa (dato della Commissione UE) e da cui gli editori, almeno secondo la Corte di Giustizia Europea, sono ad oggi esclusi, dovendo quei soldi andare principalmente agli autori (a proposito, quanti giornalisti/autori hanno beneficiato dei riparti da equo compenso per i loro scritti sui giornali in Italia?).

Ma come sarebbe strutturato questo nuovo diritto degli editori, posto che in Italia le imprese editoriali nel settore delle news hanno già su giornali e riviste un diritto di copyright essendo opere collettive?
La consultazione è sul punto subdolamente criptica e non spiega.

Poiché il fine è quello di generare ricavi dalla circolazione delle opere letterarie sul web, l’idea pare esser quella di conferire all’editore un diritto esclusivo sui cosiddetti snippets, ovvero le brevi estrazioni di testo che normalmente accompagnano i link. In questo modo ogni condivisione di link, se accompagnata da parole estratte dal contenuto condiviso o anche solo dal titolo, dovrebbe esser autorizzata dall’editore e remunerata. Se a linkare è un utente privato, scatterebbe l’equo compenso, e dunque una parte di quei miliardi che dovrebbero andare agli autori finirebbe agli editori.

Di fatto si introdurrebbe un copyright sui link, posto che un link che non contenga neanche una parola di riferimento al contenuto, una semplice url, è un collegamento inutile e totalmente inefficace sul web. Il nuovo diritto sarebbe in pratica una versione raffinata dei diritti introdotti in Spagna e Germania per far pagare Google in relazione a Google News. E sì che in Spagna e Germania la pensata è stata un disastro.

In Spagna, dove il compenso agli editori per poter linkare è stato previsto come obbligatorio, Google News ha chiuso i battenti, e con Google gli altri piccoli aggregatori di notizie: il risultato è stato un crollo di traffico sui siti degli editori, e con esso un calo dei ricavi pubblicitari.
Far pagare la condivisione dei contenuti tramite link che di fatto instradano il traffico sul sito dell’editore è come pensare di far pagare una tassa ai tassisti che portano il pubblico ai concerti, sostenendo che è grazie al concerto, e dunque all’artista, se quel trasporto ed il relativo ricavo è avvenuto. Il fatto in sé può esser vero, ma è una questione di mercato, di forza contrattuale, e non c’entra nulla il copyright.

Se si continua a usare il copyright per finalità che nulla hanno a che vedere con l’incentivazione dell’opera creativa ma semplicemente come grimaldello per regolare (e scardinare) il mercato, cercando di ridurre la tutela del diritto d’autore (sic) a mero privilegio commerciale delle imprese, si ottengono unicamente effetti distorsivi disastrosi.

In Germania, dove il compenso è facoltativo, si è palesato proprio questo: i grandi aggregatori come Google hanno semplicemente proposto una licenza gratuita, chi ci sta ci sta, gli altri fuori. Ma le piccole start-up e gli aggregatori meno significativi sono di fatto usciti dal mercato, incontrando una barriera insuperabile, non possedendo una massa critica di traffico appetibile per gli editori. Chi era forte diviene più forte, e addio concorrenza.

Introdurre un nuovo diritto di copyright sugli snippets, sui link o su qualsivoglia altra diavoleria verrà inventata a favore degli editori, avrà come unico effetto quello di complicare la vita a tutti, autori e utenti compresi, senza un reale vantaggio per i titolari, anzi, nel caso, ottenendo effetti contrari.

Usare il copyright per regolare il rapporto tra editori e intermediari sul web è come pensare di regolare la diatriba tra Uber ed i tassisti cambiando il codice della strada. Non c’entra nulla, e se gli editori hanno buone ragioni, e in parte ne hanno, trovino la via della contrattazione come avvenuto in Francia ed ora in Italia, non la scorciatoia del privilegio a danno degli autori, degli utenti e dell’innovazione.

Sul tema del copyright ci eravamo tutti convinti che bisognasse semplificare, rimettere al centro gli autori, ridimensionare le esclusive di soggetti distanti dall’atto creativo quali produttori vari e broadcaster, adeguare i vari diritti esclusivi alla nuova benefica circolazione dei contenuti su internet, e dunque ampliare le eccezioni d’uso – pensiamo al text mining o alle libere utilizzazioni per la ricerca e l’informazione – al fine di favorire l’accesso e la circolazione delle opere e della cultura. Così in parte si era espresso il Parlamento Europeo lo scorso anno con una risoluzione che faceva ben sperare.

Niente da fare. Con questa consultazione la Commissione va in direzione opposta e propone di aggiungere nuovi titolari, gli editori, e nuovi fantasiosi diritti esclusivi, giusto per complicare la vita di chi sul web opera e fa innovazione.

Avanti così. Aggiungiamo un po’ di licenze, autorizzazioni, eccezioni e compensi vari; rendiamo un po’ più arduo utilizzare legalmente in Europa qualsiasi contenuto, creando un po’ di frammentazione tra paese e paese; poi però chiediamoci anche perchè i servizi web di aggregazione di contenuti sono tutti made in USA dove esiste il fair use. Se You Tube fosse nato a Torino, sarebbe stato chiuso una settimana dopo; per non parlar di Google Books.

Carlo Blengino

Avvocato penalista, affronta nelle aule giudiziarie il diritto delle nuove tecnologie, le questioni di copyright e di data protection. È fellow del NEXA Center for Internet & Society del Politecnico di Torino. @CBlengio su Twitter