Uno, nessuno e i Radicali

Non siate schematici, non cadete nell’errore di quei buzzurri che dal caso Papa-Tedesco hanno tratto conclusioni affrettate.

Allora. I Radicali si battono storicamente contro la carcerazione preventiva, ergo, mercoledì scorso, hanno votato a favore della carcerazione preventiva per Alfonso Papa. Ma forse è una sintesi becera.

Riproviamo: dal 20 aprile Marco Pannella faceva lo sciopero della fame per protestare contro la situazione delle carceri, ma ha interrotto lo sciopero, mercoledì, nel giorno in cui il suo partito spediva in carcere Alfonso Papa.
Un po’ brutale anche questa: anche perché Pannella, ufficialmente, ha ripreso a mangiare in ossequio al convegno «Giustizia! In nome della legge e del popolo sovrano» che ci sarà la settimana prossima, e che i Radicali hanno organizzato «per superare l’attuale condizione delle carceri italiane», quelle in cui hanno spedito Alfonso Papa mercoledì scorso. Uhm.

Ritentiamo: l’onorevole radicale Rita Bernardini, mercoledì, ha detto che in Italia c’è un uso inaccettabile della carcerazione preventiva e che il Governo in sostanza se ne frega – così come se ne frega che quasi metà dei carcerati sono in attesa di giudizio, e che metà di essi probabilmente verrà assolta – dopodiché ha votato perché tra quei migliaia di carcerati si aggiunga anche Alfonso Papa. Ecco. Forse va aggiunto che ieri Marco Beltrandi e Rita Bernardini – due dei Radicali, quelli che hanno votato a favore del carcere per Alfonso Papa – hanno detto che nei giorni prossimi andranno in carcere a trovare Alfonso Papa.

Non fosse chiaro – e non è chiaro per niente – va detto che lo schema ha un illustre e dimenticato precedente: proprio il giorno prima del Raphael e delle famigerate monetine contro Craxi, il 29 aprile 1993, Marco Pannella fece un complicato discorso parlamentare in cui disse che i Radicali avrebbero votato per l’autorizzazione a procedere contro il leader socialista: questo dopo averlo strenuamente difeso – nel discorso – e soprattutto dopo che Craxi aveva annoverato Pannella e i Radicali tra i pochi voti sicuri a suo favore. Bettino a quel punto si voltò verso le tribune e allargò le braccia come a dire che era finita: non sapeva che proprio la Lega, nel segreto dell’urna, avrebbe votato a suo favore prima di estrarre cartelli e volantini già preparati.

Ma tutto questo ora non c’entra, e come detto non bisogna essere schematici. La versione seria e ufficiale dei pannelliani, rispiegata durante la rassegna stampa di Radio Radicale, è che hanno votato a favore dell’arresto perché loro hanno letto le carte, cosa che molti altri non avrebbero fatto. Lo ha spiegato ancora meglio colui che considero un caro amico, Benedetto Della Vedova, radicale infiltrato in Futuro e Libertà: «Non accetto lezioni garantiste dal partito della galera», ha detto prima di definire il centrodestra come «ubriacato da una demagogia securitaria e manettara di cui il Presidente del Consiglio scopre la crudeltà solo quando ad esserne vittime sono gli amici».

E sin qui, circa il «garantismo trasformistico del centrodestra», tutti i torti Della Vedova non li ha. Poi però dice: «L’Assemblea di Montecitorio non è un Tribunale del Riesame, una sede di appello rispetto alla decisione del giudice competente. Alla Camera spetta invece di verificare e motivare la sussistenza di un fumus persecutionis». E basta. Ed è vero, come aggiunge Dalla Vedova, che difficilmente può esserci sempre.

Ma come lo si stabilisce, se c’è o no questo fumus persecutionis? Non solo genericamente «leggendo le carte», ma verificando. Giocoforza, che i magistrati abbiano rispettato la lettera della legge, cioè che ci fossero i presupposti per chiedere una carcerazione: i soliti pericolo di fuga, di inquinamento probatorio e di reiterazione del reato. Dalla Vedova, al pari dei Radicali, ha ricordato di aver presentato una mozione – peraltro approvata dalla Camera – che impegna il governo a proporre «una più severa limitazione del ricorso alla custodia cautelare in carcere». Dimenticando, però, che il ricorso alla custodia cautelare sarebbe già severamente limitato dai cosiddetti principi di adeguatezza (il carcere dev’essere usato solo come extrema ratio) e di proporzionalità (il carcere preventivo, nel caso, dev’essere proporzionato alla sanzione prevista) e che, se invece non è così, è un’altra cosa: per esempio potrebbe essere fumus persecutionis.

Ma la stiamo facendo difficile. Benedetto della Vedova ha detto che «il garantismo non è un occhio di riguardo per i potenti e uno sguardo distratto per i pezzenti». Il rischio, però, di questi tempi, è che sia uno sguardo distratto per tutti.

Ps: Riporto uno scambio elettronico-epistolare tra Christian Rocca, un altro ex radicale come me – ma un radicale è per sempre – ed Elisabetta Zamparutti, deputata Radicale e Tesoriera di Nessuno Tocchi Caino. È tutto su camilloblog.it .

Caro Rocca, Le scrivo dopo aver letto sul Suo blog il post dal titolo “Eutanasia per i Radicali” con l’auspicio che voglia pubblicare anche questa mia replica. Rivendico il voto a favore sul caso Papa, perché si è trattato di decidere se nei suoi confronti ci fosse o meno fumus persecutionis. Per me non c’è nessuna persecuzione da parte della, pur pessima, procura di Napoli. Quanto al fare del caso Papa, la frontiera del garantismo, la dice lunga! Se penso che la sua strenua difesa è giunta da parte di chi nel corso di questi tre anni di legislatura non ha fatto altro che inasprire pene, introdurre nuovi reati e tentare di far approvare misure di garantismo sì, purché ad essere garantito fosse innanzitutto uno! Niente di niente per la riforma della giustizia al collasso, sulla carcerazione preventiva, sulle condizioni dei detenuti e via dicendo. Un conto era tangentopoli, chiara operazione politica, altro è l’emergere di comportamenti come quelli di Papa, e prossimamente magari anche di Milanese, rispetto ai quali anche l’equipararli a Caino mi pare misera operazione che svilisce il senso nobile del garantismo. Di Pietro e la Lega, con le loro manette e i loro cappi, sono un’altra storia, personale e politica. Elisabetta Zamparutti

Gentile onorevole, in lunghi e lontani anni di militanza radicale, e all’università, ho imparato che l’articolo 274 del codice di procedura penale descrive tre sole esigenze cautelari tali da autorizzare quella che un tempo si chiamava carcerazione preventiva: pericolo di fuga, pericolo di reiterazione del reato, pericolo di inquinamento delle prove. Il codice, come un tempo ricordavano anche i radicali, prescrive che “la custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata”. È evidente a chiunque che Papa o Tedesco non possano reiterare il reato, non possano inquinare le prove, non possano fuggire (e nel caso sarebbe sufficiente ritirare il passaporto). Solo questo mi pare molto più che fumus, e senza scomodare i grandi successi di alcuni dei pm in questione e della procura di Napoli. Nel 1991/92 Pannella si batteva contro il rito ambrosiano (mettere in carcere gli indagati oppure solo minacciarlo per estorcere confessioni e chiamate in correità) e organizzava gli “autoconvocati delle 7”, che gli altri con cui oggi vi siete alleati chiamavano il “Parlamento degli inquisiti”, e lo faceva magari ritenendoli colpevoli ma in difesa delle istituzioni democratiche e della sovranità popolare sotto l’attacco del partito delle procure. Oggi avete cambiato idea, siete diventati la retrovia del giustizialismo politico e avete ridicolizzato le giuste campagne contro il sovraffollamento delle carceri. Non c’è alcun motivo per cui Papa (di cui non so niente, e niente mi interessa) e molti altri che non fuggono, non inquinano e non reiterano debbano attendere in carcere il processo e la sentenza. Di certo, prima del carcere, ci sono altre misure cautelari a disposizione dei magistrati. Misure diverse dal carcere, come predicavano ogni giorno i radicali prima di razzolare male. Molto male. Cordiali saluti
Christian Rocca

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera