Troppa confusione democratica

Nelle ultime 48 ore s’è capito quale sia il rischio principale che corre il Pd in questa fase di sospensione – che potrebbe anche essere lunga – senza una leadership forte riconosciuta, legato all’appoggio al governo “di servizio”, sotto il fuoco polemico di qualsiasi più o meno facile opposizione.

Il rischio principale è di non avere una rotta e di sbandare, anche nel giorno per giorno. Col risultato che anche iniziative e prese di posizione che considerate separatamente avrebbero un senso, messe insieme danno un’idea di confusione.
Così è stato, per stare alle ultime vicende, sia per la proposta di legge sulla democrazia interna ai partiti (e il conseguente divieto alla presentazione elettorale per chi non rispetti determinati standard), che per il seguito del dibattito sulla sospensione della prima rata dell’Imu sulle prime case.

La prima vicenda è davvero paradigmatica dell’importanza di comunicare bene la politica: il che va considerato un dovere nei confronti dei cittadini, mentre negli ultimi anni nel Pd è stato considerato un cedimento alle mode, come se la comunicazione politica fosse una distorsione.
In tempi di crisi conclamata dei partiti, non riesco a immaginare nulla di più detestabile di una legge che possa essere presentata dai media come “legge anti-movimenti”. L’intento del Pd al senato sarà stato ottimo (appunto, sul tema della democrazia interna dei partiti), il risultato è pessimo, con l’aggravante di risultare un’iniziativa contra personam, nel senso di Grillo e del suo movimento.

È davvero inevitabile che in questo modo il Pd passi per un partito che, incapace di far rispettare al proprio interno un minimo di solidarietà e di disciplina, e impotente di fronte all’appeal elettorale di avversari come Berlusconi e Grillo, cerchi di rimediare ai propri limiti con pezze fatte solo di antipatici e improbabili divieti.
Il messaggio è identico a quello lanciato contro Berlusconi a proposito di ineleggibilità, col paradosso già rilevato da Valerio Onida di impegnarsi in questa battaglia vent’anni dopo lo sbarco del Cavaliere nella politica italiana.
Il Pdl da una parte e M5S dall’altra – formazioni con colossali problemi di democrazia interna, limitata se non del tutto assente – hanno facile gioco a smontare queste sortite di un partito che è, all’opposto, democratico fino a sfiorare l’anarchia.

È inevitabile che su questa vicenda si sia verificato l’ennesimo smarcamento da parte di Matteo Renzi nei confronti del proprio partito. Ha fatto bene, il sindaco di Firenze, a pronunciarsi appena possibile contro questa iniziativa, e in realtà più contro il senso che essa ha assunto che contro il merito preciso del disegno di legge depositato in senato.
Non è la prima e non sarà l’ultima volta.
Dopo aver dato giustamente il via libera all’elezione di Guglielmo Epifani come successore di Bersani, Renzi si trova nella difficile situazione di esercitare una sorta di leadership virtuale, fatalmente parallela rispetto a quella formale, che cerca di non colpire né danneggiare il governo «dell’amico Enrico», ma non può essere altrettanto delicata nei confronti di un partito del quale Epifani non ha ancora preso saldamente le redini.

Quando, nel novembre 2011, si insediò il governo Monti allungando i tempi e i modi dell’avvicinamento del Pd alle elezioni, Renzi che anche allora era in movimento verso primarie e scalata alla leadership si fermò. E scomparve, per alcuni mesi, fino al riavviarsi della nuova stagione elettorale nell’estate del 2012.
Stavolta non sta andando così. L’uscita del libro, le frequentissime apparizioni televisive, il carnet degli impegni, tutto segnala che Renzi non può fare fino in fondo il bis di quel “ritorno a Firenze”.
Non solo per la propria immagine e visibilità, o perché il Pd è comunque in una fase pre-congressuale, ma soprattutto perché il partito – come l’attualità conferma – va troppo facilmente soggetto a sbandate che potrebbero compromettere le chances di chiunque si dovesse trovare a guidarlo nella prossima campagna elettorale.

Epifani ha mostrato una bella tenuta alla sua prima prova difficile, quella della manifestazione Fiom di sabato scorso, che valeva anche come test personale per l’ex segretario della Cgil. Epifani ha fatto benissimo a tenere se stesso e il Pd in quanto tale lontani da quella piazza, per quante buone ragioni portasse la Fiom.
Come è già accaduto in passato (magari da parte di dirigenti che adesso hanno ruoli importanti nel governo Letta), c’è stato chi nel Pd ha pensato di dover andare a San Giovanni per “tenere il fianco” a sinistra, o più banalmente per marcare la propria simpatia verso quell’area, che palesemente non è più solo sociale ma è molto politica. Protagonisti nella piazza e sul palco erano infatti coloro che avevano aderito alla definizione della giornata come “prima manifestazione d’opposizione al governo Letta”.
Io credo che Epifani parlasse anche a questi democratici “di lotta”, ricordando che chi in febbraio ha provato a presentarsi alle elezioni sulla scia della linea politica della Fiom ha ricevuto dagli elettori una pesante bocciatura.

In ogni caso, ogni esperienza del passato dimostra che provare a tenere tutte le posizioni possibili (tipicamente: votare la fiducia a un governo e andare in piazza a contestarlo) conduce alla disfatta sicura, e in alcuni casi anche a imbarazzanti contraddizioni personali.
Si può dire che proprio l’antico mestiere di Epifani pare averlo vaccinato contro il rischio di confusione tra sindacato e partito, tra ruolo d’opposizione e appoggio per quanto critico a un governo. È un riconoscimento che al segretario del Pd va sicuramente dato (magari in attesa di una controprova quando in piazza ci sarà non la Fiom, peraltro ostile a Camusso, bensì la stessa Cgil).

Anche sull’Imu, di nuovo protagonisti Renzi ed Epifani, c’è stato un cortocircuito comunicativo.
Una frase del sindaco di Firenze sulla «cambiale da pagare a Berlusconi» è parsa critica verso Letta. In realtà, anche nel suo libro Renzi parla dell’abilità della battaglia di Berlusconi sull’Imu in contrasto alla solita imperizia comunicativa e politica del Pd in materia di tasse: imperizia che si paga, puntualmente, oggi che Berlusconi declama di aver portato a casa un gran risultato.
Anche su questo, Renzi è efficace ma la precisazione di Epifani è corretta: solo l’incantamento della sinistra verso Berlusconi può permettere a quest’ultimo di cantare vittoria, quando il primo provvedimento del governo è in effetti lontano anni luce dalle esorbitanti e impossibili promesse elettorali del Pdl.

Siamo, di nuovo, all’incrocio tra buona politica e buona comunicazione, due fattori che si tengono e sostengono.
In attesa che si affermi una leadership che maneggi bene la materia, speriamo che il Pd non faccia troppa confusione e non si faccia troppo male.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.