Tra color che stan sospesi

Il tema del colpo di Stato in atto è affascinante e ineludibile, se lo si affronta laicamente. Persino i commentatori più moderati riconoscono che c’è una grossa anomalia democratica nei modi in cui si è costituito il governo Monti. Oggi Michele Ainis scrive sul Corriere della Sera di come poi nei fatti Napolitano si sia mosso assolutamente dentro le sue “prerogative”, mentre c’è di certo qualcosa di inaccettabile in quello che è diventato e che diventerà in quest’occasione il ruolo del Parlamento.

Ma un aspetto interessante è anche il favore che la gran parte degli italiani sta riservando al progetto Monti: che si guardino i sondaggi o si parli con le persone, non si ricorda un governo nato con ostilità così confinate e con aspettative così grandi. Con grande indulgenza nei confronti di aspetti oligarchici ed elitisti della sua composizione che – un po’ meno nel mio caso, se avete letto Un grande paese – sono solitamente assai mal tollerati.
Dico che è interessante perché quello a cui stiamo assistendo è il ritorno dell’uomo forte (travestito da uomo mite), e in particolare del desiderio dell’uomo forte. Gli italiani che nelle ore dispari vanno dicendo che non sono i nomi che contano, che contano i progetti, che bisogna stare attenti ad affidarsi a deus ex machina e artefici di miracoli, nelle ore pari sognano esattamente questo e ora vogliono credere di averlo trovato. Il risultato non è certo una dittatura, ma il desiderio che lo appoggia somiglia molto a quelli che in altri tempi hanno consentito le dittature.

Ci sono belle differenze, non me lo fate dire che è inutile. Ma persino l’articolo di un rigoroso giurista come Ainis ne mostra tratti notevoli, dove dice che il parlamento si è meritato la sua messa in castigo e che questa non potrà che fargli bene – “fare di quest’aula sorda e grigia…” – e anche che è una condizione solo temporanea, espressione tipica e insincera di ogni avvio di esautorazione dei parlamenti e sospensione delle democrazie.

E ieri Giuseppe De Rita, in un’ottima analisi di come stiamo messi e come siamo arrivati fin qui, ci teneva a sancire controcorrente il suo scarso apprezzamento per questo governo ma ammetteva che il percorso storico non potesse che dare una nuova chance alle élites – in alternativa al populismo – e che queste debbano stare molto attente a non buttarla via. Altrimenti ritorna l’uomo forte quello vero, come quello che è appena passato.

Alla fine, quello vuole la gran parte degli italiani, per quanto se la racconti: persone capaci e toste in grado di gestire le cose al posto suo. Ci troviamo nella paradossale situazione per cui il sistema democratico ne aveva scelte di disastrose e quello antidemocratico di capaci. Ennesima dimostrazione della pluridibattuta crisi della democrazia e della sua fragilità in assenza di una crescita civile e culturale delle persone: che quindi dovrebbe essere il primo obiettivo di élites che vogliano trovare anche una legittimazione democratica. Prima o poi, ci mancherebbe, si torna a votare.


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Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).