Schiavi di Facebook

Non sono un estimatore di Facebook: anzi. Mi pare che sia una grande rete con straordinarie opportunità declinata invece alla circolazione di contenuti mediocri o futili e all’investimento di molto tempo in attività poco fertili, a differenza di altri luoghi della rete. Un grande posto dove “sono tutti” e quindi vanno tutti, e poi quando sono lì non sanno cosa fare tranne commenti da macchinetta del caffè e opinionismo autoesauriente. Non è così per tutti, e il Post è il primo a cercare ancora malamente di sfruttare la grande estensione di quella rete per diffondere contenuti di qualità – a suo dire -, ma mi sembra che il mezzo di per sé inclini poco alla qualità e molto alla quantità: di utenti e tempo di assorbimento.

Mio padre ha un profilo su Facebook, come molte persone, e lo usa con alterne intensità: si trova tuttora agli arresti domiciliari e quindi è un’opportunità piuttosto attraente di avere relazioni con gli altri. Glielo aprii io un paio d’anni fa, pur con la mia scarsa dimestichezza, fornendo un indirizzo di mail creato da me, per occuparmi così io di eventuali complicazioni e per non far ricadere sul suo le cataste di comunicazioni inutili e ammorbanti con cui Facebook perseguita le mail degli utenti. Ne ha fatto abbastanza uso, in questi due anni (a occhio), raccogliendo migliaia di amici e quindi essendo costretto poi a far costruire una pagina per superare l’altra sciocchezza del tetto dei cinquemila.
La settimana scorsa mi ha chiesto di dare un’occhiata perché non riusciva più ad accedere al suo profilo, e conseguentemente alla pagina. E in effetti Facebook rifiutava il login, e con successivi link alludeva a qualche tipo di violazione nell’identità dell’utente. Ho seguito tutte le richieste e sono giunto a una pagina che diceva che in caso di disattivazione dell’account avrei dovuto eseguire alcune pratiche esoteriche online e allegare a una mail la copia di un documento. Ho fatto come richiesto, e nessuno mi ha risposto. Ho fatto come richiesto una seconda volta, e ho ricevuto questo.

Ciao,
Il tuo account è stato disabilitato poiché violava le Condizioni di Facebook. Abbiamo determinato che il tuo profilo non ti rappresenta in modo autentico, e ciò rappresenta una violazione delle nostre normative. In base alle nostre normative, il tuo profilo:
* deve contenere il tuo nome e la tua data di nascita reale.
* non può fare le veci di qualcuno o qualcosa (ad esempio, non è consentito creare profili per rappresentare personaggi famosi, animali domestici, idee od oggetti inanimati).
* non può essere usato per contattare stranieri al fine di concludere affari o combinare appuntamenti.
Facebook è una comunità in cui le persone si connettono con gli amici e condividono elementi con loro usando le proprie identità reali. Fare le veci di altri, creare più account o rappresentare in modo falso un’organizzazione sono azioni che compromettono la fiducia e la sicurezza della comunità.
Quando rileviamo violazioni sul sito o riceviamo segnalazioni di violazioni. mettiamo in atto le nostre normative. Se esistono altri account non autentici sul sito, è solo perché non sono stati ancora segnalati e rimossi.
Purtroppo non riattiveremo il tuo account per nessun motivo.
Per maggiori informazioni sulle nostre normative, leggi gli Standard della comunità di Facebook: https://www.facebook.com/communitystandards/
Grazie,
Laura
User Operations
Facebook

Ci sono alcune cose che fanno molto ridere, a cominciare dal concetto che il profilo di mio padre non lo rappresenti in modo autentico (a differenza dei nostri). Ma anche “Purtroppo non riattiveremo il tuo account per nessun motivo” non è male, e invoglia a rigare la macchina a Laura con una chiave piuttosto che spiegarle che si sta sbagliando, lei e i suoi mandanti.
Invece, ho fatto la seconda cosa. E ho scritto di nuovo, insistendo sull’errore e spiegando che se l’account di mail li avesse indotti in errore era solo perché è intestato al figlio del titolare, ma come dimostrava il documento, tutto quanto lo rappresentava in modo molto autentico e i rapporti familiari sono sereni.
E così Laura mi ha mandato un’altra mail, uguale alla prima, in cui mi chiedeva di mandare una copia del documento di identità (la terza).
(Inciso: so benissimo che tutto questo capita a molti di voi, là fuori. Lo racconto per gli altri)

Ho mandato a Laura di nuovo la copia del documento di identità e ho pronunciato tutte le altre formule magiche richieste. Questo avveniva sei giorni fa e non ho più ottenuto risposta. A un certo punto ho chiesto informazioni, segnalando anche che il fatto che mio padre avesse raccontato l’avvenuto in una rubrica a sua firma sul Foglio e che Vittorio Zambardino lo avesse ripreso sul sito di Repubblica, erano circostanze che accreditavano abbastanza l’ipotesi che quel profilo lo rappresentasse in modo autentico.
Niente.

Stasera, parlandone con mio padre, lui mi ha ricordato che in quel profilo completamente estinto (non stiamo parlando infatti di bloccare l’accesso e la modifica, ma della totale rimozione di tutti i contenuti, resi irraggiungibili a chiunque) c’erano molte cose e contenuti che gli servono e gli sarebbero serviti come archivio per le cose che scrive, che vorrà scrivere, o per qualunque altra sua intenzione. e mi ha detto: “Ma non li posso denunciare?”.

Ho preso la domanda sul serio – invece di ridere alla battuta – e ho risposto di no.
1) Perché non cambio idea sul fatto che chi accetta un servizio privato gratuito alle condizioni di quel servizio non abbia titoli per lamentarsi quando quelle condizioni (in sostanza “faremo quello che ci pare”) vengono rispettate. Ci stiamo consegnando mani e piedi a Facebook e poi ci lamentiamo quando ci tagliano le unghie. Mi ricorda le proteste di chi pretendeva che Mediaset – impresa privata e di offerta gratuita e non obbligatoria – non mettesse la pubblicità in mezzo ai film.
2) Perché essere diventati dipendenti da Facebook è già stata una stupidaggine un po’ avventata, ma riconoscerlo e persino rivendicarlo implorando una dose mi pare indignitoso, se si può dire indignitoso. Ci si ribella per rompere le catene, non per chiedere di riaverle.
3) Perché credo che nei termini formali di accordo con Facebook ci sia davvero che loro fanno quello che gli pare, e quindi una causa la si perde.

Detto questo, l’aver cancellato una grande mole di contenuti e dati che non sono proprietà di Facebook ma di un suo utente va oltre, anche per me, qualunque condizione d’uso prepotente. Quindi continuerò a stressare Laura perché riapra quel benedetto profilo, e non le righerò la macchina con una chiave solo perché ha in ostaggio la mia famiglia. Perché se vogliono fare quelli rigorosi è bene che si premurino di avere sempre ragione e di non diventare invece quelli prepotenti. Che una volta o l’altra la domanda “Ma non li posso denunciare?” qualcun altro poi la prende sul serio.

Aggiornamento: qui gli sviluppi.


Vedi anche:

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).