Salvare la Costituzione

Azzardo alcuni brutali pensieri sulla Costituzione e sul brutto pasticcio che sta avvenendo intorno a essa. Premetto che personalmente non amo la nostra Carta Costituzionale. Lo so che non si può dire, ma io non la trovo affatto “la più bella del mondo”.  A parte il fatto che mi pare non funzioni più, debbo confessare che quel “fondata sul lavoro” mi mette da sempre tristezza. Ho provato a farmene una ragione, e ho pure capito come mai si fosse partiti proprio da lì, dal lavoro; mi sono pure letto “La solitudine dell’art.1” di Zagrebelsky. Però niente. Continuo a pensare che anche all’ingresso di Auschwitz c’era scritto “il lavoro rende liberi” e inconsciamente la maledizione biblica «tu mangerai il pane col sudore del tuo volto fin che tu non torni alla terra etc. etc » non mi consente di dissipare la lieve depressione che mi dà l’articolo 1 della nostra Costituzione. Mi sarebbero piaciute fondamenta, come dire, più ottimiste e meno faticose. È un mio limite, lo so, e non è un dato rilevante, ma fosse per me, la Costituzione la cambierei a partire dall’incipit (il che non necessariamente vuol dire tradirne i valori).

Al di là però dei miei limiti, mi pare fatto indiscutibile che oggi sia tutto cambiato rispetto al 1947. Ci relazioniamo in comunità nuove, più ampie, dai confini inediti e incerti e la stessa percezione che abbiamo di noi stessi, del nostro esser cittadini ed il nostro rapporto con le istituzioni e con il potere è profondamente mutato. Anche sul piano dei diritti abbiamo acquisito nuove libertà che devono essere riconosciute prima ancora che difese, e soprattutto abbiamo imparato nuove straordinarie modalità di esercizio di diritti costituzionali acquisiti che non potevano esser neppure immaginate 60 anni fa.

La nostra Carta non ce la fa più: siamo al limite del caos istituzionale, psicotici nelle relazioni tra istituzioni dello Stato, assediati da poteri extra-costituzionali che con motivazioni tecnico-burocratiche legiferano impunemente lontani dal Parlamento (penso, in questi giorni, al mitico regolamento AGCOM sui contenuti in rete); siamo monchi nei diritti e incapaci di far fruttare a beneficio della democrazia gli straordinari luoghi di partecipazione che le nuove tecnologie hanno concesso ai cittadini.

Dunque, cambiamola ‘sta Costituzione, rendendo onore ai padri costituenti per il lavoro quasi miracoloso fatto in un altro tempo ed in un altro mondo, riconoscendo il ruolo fondamentale che la Carta ha avuto per oltre mezzo secolo e riconoscendo in essa i principi condivisi che ancora ci rappresentano.

E invece si assiste ad un gioco al massacro, in una sorta di interessato e insensato accanimento terapeutico. Da una parte l’approccio al (finto) cambiamento dei governanti di turno, con i piccoli aggiustamenti tentati alla bisogna da questa o quella maggioranza o imposti dall’Europa (rectius banche e finanza) nel silenzio dei media, e dall’altro gli intransigenti, coloro che si arroccano e difendono ad oltranza la Costituzione “più bella del mondo”, quasi a farne un intoccabile feticcio.

In questo scenario il Governo Letta, che dovrebbe tentare le riforme (sic!), dà purtroppo segni di preoccupante schizofrenia (ma non potrebbe esser altrimenti). Da un lato apre uno spazio pubblico di discussione e partecipazione collettiva sulle riforme costituzionali con una consultazione pubblica sul sito partecipa.gov.it. che merita qualche nota positiva (i materiali ed il progetto complessivamente sono davvero ben fatti); dall’altro lo stesso Governo tenta nella calura di agosto di far passare una legge costituzionale (il ddl 813) che con l’istituzione di un ristretto (anzi ristrettissimo) “Comitato parlamentare per le riforme costituzionali ed elettorali” aggira e di fatto modifica (senza mai citarlo) l’art. 138 della Costituzione (che detta le regole per le modifiche costituionali), riducendo ulteriormente, se possibile, quell’insignificante residuo di democrazia che ancora alberga nel Parlamento. Con il tipico scavallo della regola all’italiana, si tenta di blindare un percorso para-costituzionale per comprimere il dibattito sul nostro futuro in tempi stretti, delegando il tutto, dopo i saggi, ad una micro-bicameralina (20 senatori e 20 deputati). Inevitabili i legittimi strali di costituzionalisti e intellettuali e gli immancabili pubblici appelli a difesa della Costituzione, che raccolgono migliaia di firme.

E così punto e a capo. Tutto fermo, Italia compresa.

Il problema è che il sistema si è inceppato da tempo e nessuno potrà riuscire a rifondare la nostra res publica da dentro il sistema, perché è proprio quel sistema lì che non funziona più. Il cambiamento è necessario ed ineludibile, ma a buon diritto non ci fidiamo più. E non c’è nessun articolo 138 della Costituzione che possa reggere. E’ come avere un motore dotato di un dispositivo di check-control alimentato però dallo stesso motore che si è rotto e necessita di diagnosi. Non resta che portare la macchina dal meccanico. Ma il meccanico siamo noi. Ed allora azzardo l’inutile sogno di una notte di mezza estate:

una nuova assemblea costituente

eletta con metodo rigorosamente proporzionale

all’esito di una campagna elettorale in cui tutti, partiti, movimenti e società civile, presentino la loro idea di Costituzione

l’apertura di 10, 100, 1000 siti partecipa.gov.it in cui si discuta e ci si informi

un anno di lavoro degli eletti che conclusi i lavori saranno incompatibili con qualsivoglia incarico istituzionale

un referendum confermativo

una nuova Costituizione e comunque una nuova Italia.

Va beh, ci risentiamo a settembre con IMU, IVA e legge elettorale (sempre quella).

Carlo Blengino

Avvocato penalista, affronta nelle aule giudiziarie il diritto delle nuove tecnologie, le questioni di copyright e di data protection. È fellow del NEXA Center for Internet & Society del Politecnico di Torino. @CBlengio su Twitter