Il referendum, senza ansia

Tra tre giorni si voterà per il referendum costituzionale del 4 dicembre. Milioni di italiani hanno già scelto cosa votare, ma molti altri sono ancora incerti. Questa guida è dedicata a loro. Nella prima parte cercherò di spiegare effetti e conseguenze della riforma nella maniera più obbiettiva possibile. Nella seconda, mi occuperò delle conseguenze economiche dell’esito del referendum e nella terza di quelle politiche.

Parte prima: il merito
Guardando la riforma in maniera oggettiva si possono vedere aspetti positivi e negativi, nessuno dei quali davvero rivoluzionario. Il testo non è perfetto, in molti punti è scritto male e in alcuni casi appare confuso. È difficile oggi prevedere con esattezza gli effetti della riforma nel dettaglio, ma è possibile fare qualche ragionevole approssimazione.

L’effetto più importante di una eventuale vittoria dei “Sì” è che i governi saranno mediamente più stabili, grazie al fatto che riceveranno la fiducia soltanto dalla Camera e non più anche dal Senato. Se la scena politica continuerà ad essere frammentata, però, non sarà la costituzione ad assicurare governi duraturi, ma ci sarà bisogno di leggi elettorali come l’Italicum, in grado di distribuire i seggi in maniera molto squilibrata. I poteri del presidente del Consiglio e del governo in generale, invece, non cambieranno, se non come effetto indiretto della maggiore stabilità. Non ci sono rischi di deriva autoritaria, di elezione del presidente della repubblica da parte della sola maggioranza o di soppressione dell’istituto referendario (che anzi, ne esce, paradossalmente, rafforzato in maniera potenzialmente dannosa).

Il Senato sarà eletto in maniera indiretta, cioè i cittadini non voteranno più direttamente i senatori. Non si tratta di una scelta così insolita. È dal 2007 che circolano bozze di riforma in cui si prevede un senato non eletto direttamente (senza che ci fossero mai state grandi proteste). Un senato eletto in maniera indiretta c’è da decenni in paesi come Austria e Germania. In ogni caso, la riforma prevede un meccanismo da regolare con legge ordinaria per permettere ai cittadini di indicare almeno una parte dei futuri senatori. Renzi si è impegnato più volte pubblicamente a realizzare questa disposizione, permettendo ai cittadini di scegliere chi vogliono mandare al Senato tramite una seconda scheda nel corso delle votazioni per il rinnovo dei consigli regionali.

Il ruolo del Senato sarà molto ridimensionato: secondo alcune stime, le leggi di cui il Senato si occuperà con gli stessi poteri di cui ha ora diminuiranno di più del 90 per cento. Sempre secondo queste stime, se fosse stata in vigore la riforma negli ultimi tre anni, il Senato avrebbe legiferato con pieni poteri soltanto su 10 leggi. Il Senato, quindi, si occuperà di poche cose e infatti in questi mesi si è ipotizzato che, in caso di vittoria dei “Sì”, i suoi membri possano riunirsi per un paio di volte al mese o poco più.

Le regioni avranno minori possibilità di bloccare l’azione dello stato, soprattutto in settori come le grandi opere. Difficilmente i conflitti tra stato e regioni davanti alla Costituzionale saranno ridotti in maniera molto sensibile (qui avevamo spiegato perché). In generale, si toglie un po’ di autonomia alle regioni e si creano alcune condizioni per aumentare quella delle regioni a statuto speciale. Confindustria e altre associazioni di imprenditori sono particolarmente favorevoli a questa parte della riforma. Significa che probabilmente ritengono che le grandi aziende ne trarranno benefici economici, che potrebbero avere ricadute anche sul resto dell’economia (al prezzo di una minore autonomia regionale).

La riduzione dei costi della politica sarà trascurabile, anche se ci sarà indubbiamente: sarà ridotto il numero di senatori e gli stipendi di molti consiglieri regionali. È difficile che la velocità con cui si approvano le leggi venga incrementata in maniera importante (il problema, comunque, non sembra essere la velocità con cui produciamo leggi, ma il fatto che le scriviamo male). Secondo alcuni, le procedure legislative diventeranno così complicate da rallentare l’attività del parlamento, ma al momento questa ipotesi sembra piuttosto improbabile (in ogni caso, come sopra, il problema non sembra essere la velocità). Molto comunque sarà stabilito in futuro, quando saranno adottati i nuovi regolamenti parlamentari.

Qui trovate la seconda parte della guida senza ansia: le conseguenze economiche e qui la terza parte: le conseguenze politiche

Davide De Luca

Giornalista. Ho scritto per l’Arena di Verona e per l’Agence Europe di Bruxelles. Ho collaborato ad alcuni libri d’inchiesta su CL e la finanza cattolica. Mi piacciono i numeri e l’economia e cerco di spiegarli in modo semplice. Su Twitter sono @DM_Deluca