• Italia
  • Mercoledì 30 novembre 2016

Cosa è successo alla riforma Madia

Secondo il governo la Corte Costituzionale ne ha bocciato un pezzo per colpa del famoso Titolo V, che sarà cambiato dalla riforma, ma non tutti sono d'accordo

(ANSA/ GIUSEPPE LAMI)
(ANSA/ GIUSEPPE LAMI)

Venerdì scorso la Corte Costituzionale ha reso pubblica la sua decisione di dichiarare illegittima una parte della riforma della pubblica amministrazione, la cosiddetta “riforma Madia”, dal nome del ministro per la Semplificazione e l’amministrazione pubblica Marianna Madia. Si tratta di una decisione importante, perché cancella alcune significative riforme volute dal governo e perché coinvolge, indirettamente, l’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre. Il governo sostiene che la bocciatura è dovuta a una parte della Costituzione, il Titolo V, che sarà modificata dalla riforma: se vinceranno i “Sì”, sostiene il governo, episodi simili in futuro non si ripeteranno. Secondo i critici del governo, invece, la bocciatura è dovuta al modo frettoloso e approssimativo con cui è stata scritta la riforma Madia.

La Corte Costituzionale ha espresso il suo parere in seguito a un ricorso del Veneto contro la legge numero 124 del 2015, cioè la “riforma Madia”. Si tratta di una “legge delega”, ossia di una legge approvata dal Parlamento che fissa una serie di “paletti” entro i quali il governo può legiferare liberamente tramite i cosiddetti “decreti legislativi”. In genere le leggi delega vengono utilizzate per realizzare ampie riforme su materie molto tecniche, che sarebbero difficili da regolare approvando e discutendo ogni singolo provvedimento con la normale procedura parlamentare. I decreti legislativi sono immediatamente efficaci e non devono essere confermati da un voto parlamentare (il voto con cui si approva la legge delega “copre” tutti i successivi decreti legislativi). La Corte Costituzionale è l’organo deputato, in caso qualcuno vi faccia appello, a controllare che i decreti legislativi rispettino effettivamente i paletti fissati dalla legge delega.

Nel caso della riforma Madia, il Veneto ha fatto ricorso contro la stessa legge delega che, a suo parere, violava alcune norme costituzionali che regolano il rapporto tra stato e regioni. A questo punto bisogna aprire una parentesi e spiegare che dal 2001 (quando fu approvata la riforma del Titolo V) le regioni sono autorizzate a legiferare in maniera esclusiva su una serie di materie, mentre su molte altre hanno una competenza condivisa con lo stato (le famose e controverse “materie concorrenti”). Per altre materie ancora la competenza rimane in via esclusiva dello stato centrale.

La Corte Costituzionale ha stabilito che alcuni degli articoli della riforma contro cui aveva fatto ricorso il Veneto non avevano nulla di sbagliato, poiché riguardavano materie di esclusiva competenza dello stato o “riconducibili” all’esclusiva competenza dello stato. In altri casi, invece, la legge delega consentiva al governo di legiferare su materie di competenza concorrente. La Corte ha stabilito che in questi casi è necessario trovare un accordo con le regioni prima di approvare il decreto legislativo. La legge delega, però, nel suo testo, non parla della necessità di ottenere un’intesa con le regioni ma solo la necessità del governo di consultarsi con esse (cosa che il governo ha regolarmente fatto).

In poche parole: secondo la Corte Costituzionale alcune parti della riforma Madia hanno rappresentato un’intromissione indebita dello stato in alcune materie che sono di competenza regionale e sulle quali le regioni avrebbero dovuto avere più voce in capitolo. In particolare la Corte ha bocciato la parte della legge che riguardava i dirigenti regionali, stabilendo una serie di procedure unificate per la loro nomina, le loro responsabilità e retribuzioni, altre disposizioni generali sul lavoro presso la pubblica amministrazione e sulle partecipazioni azionarie nei servizi pubblici (le famose “municipalizzate”, come le aziende che si occupano di rifiuti e trasporto pubblico). Alcuni dei decreti legislativi, cioè le disposizioni con cui il governo legifera all’interno dei paletti stabiliti dalla legge delega, sono stati approvati proprio negli ultimi giorni e dovranno essere ritirati in seguito alla sentenza della Corte. I giornali scrivono che probabilmente è troppo tardi per modificare la legge delega e approvare dei nuovi decreti (la legge impone al governo di attuare i decreti legislativi entro marzo 2017). Buona parte della riforma, quindi, sarà probabilmente abbandonata, almeno per il momento.

I contrasti tra regioni e stato sulle “materie concorrenti” sono stati molto frequenti negli ultimi anni, ma questa è stata una delle prime volte in cui sono emersi a causa di una legge delega (e della differenza tra “consultazione” e “intesa”). Per questo la sentenza della Corte è stata definita “evolutiva”, cioè stabilisce una nuova giurisprudenza: quando le leggi delega si occupano di materie di competenza regionale l’approvazione da parte delle regioni è obbligatoria. Qui trovate il testo completo della sentenza.

Il ministro Madia e il presidente del Consiglio Matteo Renzi hanno detto che la decisione della Corte bloccherà alcuni aspetti della norma che ritengono particolarmente popolari, come la maggior facilità nel licenziare dirigenti pubblici. Secondo il governo, in caso di approvazione della riforma costituzionale non potranno più accadere episodi simili, perché saranno abolite le competenze concorrenti. Sarà quindi molto più chiaro, sostengono, in quali ambiti il governo potrà legiferare in autonomia e in quali dove invece dovrà avere il consenso delle regioni. In realtà questo sarà vero solo in alcuni ambiti: le competenze concorrenti, infatti, per quanto abolite formalmente, rimarranno sostanzialmente in vigore su diversi temi, tra cui alcuni molto importanti come la sanità (qui avevamo spiegato per bene tutta la faccenda).

Secondo altri, invece, la responsabilità è del governo e degli uffici che hanno scritto la legge, che non hanno previsto le possibili conseguenze di un ricorso contro la legge da parte delle regioni. Luigi Olivieri, dirigente della provincia di Verona ed esperto di questioni di diritto degli enti locali, ha riassunto così la vicenda sul sito LaVoce.info:

È evidente che a Palazzo Vidoni [sede del ministero della Funzione Pubblica] e a Palazzo Chigi i tecnici, nel formulare il testo della legge Madia, non abbiano sufficientemente considerato l’obbligo di leale collaborazione tra stato e regioni, scrivendo in modo non corretto la legge delega e negando l’intesa tra stato e regioni. Poi, però, nessuno ha ritenuto di correggere il tiro mentre i decreti legislativi attuativi della riforma erano in corsa e il ricorso della regione Veneto già all’attenzione della Consulta. Né si è pensato a un “piano B”. Al contrario, per approvare in particolare i decreti attuativi della riforma della dirigenza pubblica e dei servizi pubblici locali il governo ha attesto a lungo, troppo, giungendo all’ultimo minuto all’approvazione finale, senza più tempo per rimediare a eventuali vizi.