Le prime tredici righe di Anna Karenina

In L’energia dell’errore Viktor Šklovskij racconta in che modo Tolstoj scriveva i suoi libri: «Desiderava che gli errori non finissero. Erano le tracce della verità. Erano la ricerca del senso della vita». Di Anna Karenina, il romanzo al quale Tolstoj aveva cominciato a pensare nel 1870 e che aveva pubblicato nel 1878, dopo dodici successive redazioni, Šklovskij scrive: «ciò che vi è scritto è più vero di quanto si trova sui giornali e, forse, nelle enciclopedie» (la traduzione di questi passi di Šklovskij è di Maria Di Salvo).

Allora, quando l’altro giorno ho trovato in libreria la nuova traduzione di Anna Karenina, appena uscita per Einaudi (la traduttrice è Claudia Zonghetti, il libro è un supercorallo, ha 961 pagine e costa 28 euro) sono stato contento e l’ho aperto subito. E ho letto: «Le famiglie felici si somigliano tutte, le famiglie infelici lo sono ognuna a modo suo». E ho avuto un’impressione strana, come se mi mancasse qualcosa; sono poi andato a verificare l’originale e ho trovato che Tolstoj scrive: «Vse sčastlivye sem’i pochoži drug na druga, každaja nesčastlivaja sem’ja nesčastliva po-svoemu», dove sem’ja significa famiglia, sčastlivye significa felici, nesčastlivaja significa infelice; sono poi andato a vedere la mia vecchia edizione italiana, di Anna Karenina, quella tradotta da Pietro Zveteremich e pubblicata da Garzanti, e ho trovato che dice: «Tutte le famiglie felici sono simili tra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo». E qui a me è sembrato di ritrovare l’architettura sonora, se così si può dire, della frase di Tolstoj, con quella ripetizione finale di infelice che a me sembra capitale, nell’economia della frase e che la Zonghetti, non si capisce bene perché, elimina.

Ho poi continuato a leggere la traduzione della Zonghetti: «Casa Oblonskij era sottosopra. La moglie aveva scoperto la tresca fra il marito e l’istitutrice francese che era stata per qualche tempo con loro, e lo aveva informato che non potevano più vivere sotto lo stesso tetto. Non c’era più motivo di stare insieme /…/ La signora non usciva dai suoi appartamenti e il signore non si vedeva da tre giorni». Sono tornato a Zveteremich: «Tutto era in scompiglio in casa Oblonskij. La moglie aveva saputo che il marito intratteneva una relazione con la governante francese che era stata in casa loro, e aveva dichiarato al marito di non poter più vivere nella stessa casa con lui /…/ la loro convivenza non aveva più senso /…/ La moglie non usciva dalle sue stanze, il marito non era in casa da più di due giorni». Com’è evidente, dalla nuova traduzione dell’Einaudi sono state tolte le ripetizioni (infelice, marito, moglie, casa), che nell’originale russo ci sono.

Quando trovo una cosa dal genere mi vien sempre in mente il caso della prima traduzione di American Psycho, il romanzo del 1991 di Bret Easton Ellis, nella prima pagina del quale compariva tre volte la parola «bus», parola che il traduttore italiano aveva reso prima con «autobus», poi con «corriera», poi con «torpedone», e per il lettore italiano era difficilissimo capire che quel «torpedone» alla fine della pagina era lo stesso autobus che c’era all’inizio che poi a metà si era trasformato in corriera. Cosa aveva fatto, quel traduttore? Aveva applicato a Ellis la regola che hanno insegnato a tutti noi alle scuole medie, nei temi di italiano, di non fare delle ripetizioni e usare dei sinonimi. Che è una regola che a scuola può forse andar bene, perché permette all’insegnante di valutare il bagaglio lessicale dell’alunno, ma Bret Easton Ellis che bisogno ha di provare di avere un bagaglio lessicale sviluppato? E Lev Tolstoj? I romanzieri russi, a sentire Dostoevskij, vengono tutti «dal Cappotto di Gogol’», e c’è un celebre studio di Boris Ejchenbaum che dimostra come Gogol’, le parole, le scegliesse per il suono, e così faceva probabilmente anche Tolstoj e se Tolstoj, dopo dodici successive stesure, ha deciso di usare più volte, nella prima pagina del suo romanzo (e anche nelle pagine successive), la figura retorica e fonica della ripetizione, che senso ha correggere questo romanzo come se fosse un tema di seconda media? Oltretutto Tolstoj, come dice sempre Šklovskij, «da vero grande scrittore, era un uomo fuori posto», e se fosse andato alle medie probabilmente l’avrebbero bocciato, secondo me. Però, come lettura per l’estate, Anna Karenina mi sembra un’idea bellissima, e la consiglio senz’altro, nell’edizione Garzanti, traduzione di Pietro Zveteremich, 803 pagine, 9 euro.

(Pubblicato su Libero)

Paolo Nori

Mi chiamo Paolo Nori, sono nato a Parma, nel 1963, abito a Casalecchio di Reno e scrivo dei libri; l'ultimo si intitola "I russi sono matti" (Utet 2019). Il mio blog è: paolonori.it.