Come opporsi a Renzi nell’era Renzi

Quando si traccerà la parabola di Matteo Renzi, si fisserà probabilmente all’ottobre 2014 un punto molto alto. All’indomani della prova di forza cercata e vinta sul mercato del lavoro, con l’abbattimento del totem dell’articolo 18. In piedi al centro di uno scenario domestico abitato solo da avversari sconfitti e da alleati docili. Nel pieno di una vicenda europea aperta perfino a ipotesi di rinegoziazione dei trattati. Sostenuto da un persistente consenso popolare. Studiato e vezzeggiato dalle élite progressiste d’Occidente. Perfino, notizia recente, piazzato sul podio degli under 40 più influenti al mondo secondo Fortune, al terzo posto dopo Zuckerberg e prima del fondatore di Whatsapp.

È legittima la domanda: e ora? Che vorrà fare Renzi di questo potere? La risposta è facile. Per usare un suo slogan: «passo dopo passo». Il successo serve a Renzi non per realizzare ulteriori blitz ma per rendere ineluttabile l’avanzamento della propria agenda. Come dice Padoan: perché le riforme si realizzino e producano effetti ci vuole tempo. Almeno quei mille giorni. Nell’arco dei quali il premier non ipotizza scossoni, né teme rese dei conti da parte di altri. «Avete la manifestazione il 25 ottobre, allora ci vediamo il 27», ha detto a Susanna Camusso. Sottotesto: per me non cambierà nulla.
La minoranza del Pd deve fare i conti con questo tempo medio-lungo della stagione renziana. Farebbe male a consolarsi con i commenti di chi (da mesi) preannuncia «l’inizio del declino». Perché un declino renziano ci sarà, inevitabilmente, ma non è imminente.

La lezione del Jobs Act dice che non serve minacciare «conseguenze politiche» che non si è in grado di realizzare. Che Renzi non soffre le turbolenze parlamentari che avvelenarono gli anni dell’Ulivo esacerbando gli animi dei militanti contro chi fomentava divisioni. E che la sovraesposizione mediatica di un dissenso che non si può condurre fino in fondo evoca più gli omini di Altan con relativo ombrello, che eroismi resistenziali.
I giovani andati a dirigere il Pd di Renzi senza essere né diventare renziani hanno scelto una strada migliore. Investono su un partito vincente che non sarà mai più dependance dei sindacati ma prima o poi potrà ri-orientarsi a sinistra, com’è successo nel Labour e nella Spd. Nell’attesa, meglio elaborare il lutto e farsi venire idee nuove.
Nuove davvero però. Fuori dall’Italia Piketty, per dire, è già modernariato.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.