Le banche e l’ovvio dei popoli

Ieri Massimo Giannini, nel suo consueto editorialino del lunedì su Affari&Finanza, ha sbertucciato l’“audacia” delle banche italiane con pochi ma inequivocabili numeri (contenuti nell’ultimo bollettino della Banca d’Italia e ripresi in un pezzo di Fabio Pavesi apparso sul Sole 24 Ore il 15 marzo).

Ha scritto Giannini: «Tra fine dicembre 2011 e fine gennaio 2012 gli istituti di credito italiani hanno comprato Btp e altri titoli di Stato per 28 miliardi di euro, aumentando lo stock mensile da 209 a 237 miliardi. Nello stesso mese di gennaio hanno comprato bond bancari e riacquistato obbligazioni proprie per 41 miliardi. Totale degli investimenti: 69 miliardi. All’incirca la stessa cifra che le banche hanno prelevato, al netto degli altri prestiti riconvertiti, dagli sportelli della Bce il 21 dicembre scorso, il giorno del primo “Ltro” (Long term refinancing Operation, ndr). Eccolo, dunque, l’audace colpo messo a segno dai signori del credito. Hanno usato i fondi che Mario Draghi ha opportunamente messo a disposizione per mettere in sicurezza il sistema bancario nei prossimi tre anni non tanto per dare più ossigeno all’economia, ma per arricchire i propri portafogli. Prendendo soldi dall’Eurotower all1% e reinvestendoli in BTP al 4,5/5%».

Già messa così suona brutto. Molto brutto. Dati alla mano, le banche dimostrano di privilegiare il fare soldi con i soldi piuttosto che sostenere l’economia reale. Non che non si intuisse. Non che la percezione comune fosse diversa da questa. Anzi. Ma quando arrivano i numeri a certificare anche le circostanze più verosimili allora non ci sono più dubbi: tutto risulta purtroppo, irrimediabilmente vero. E, come appena detto, suona brutto, molto, brutto.
Ma come la mettiamo allora, alla luce di quanto sin qui detto, con quanto ci raccontano i nostri banchieri? Se le cose stanno così, se le banche quindi sapevano che avevano utilizzato i soldi della Bce praticamente solo per acquistare titoli di Stato, bond bancari e obbligazioni proprie, perché hanno voluto far credere il contrario? Perché si sono pubblicamente esposte, tramite i loro massimi referenti, nell’affermare che con (almeno una parte de) i fondi messi a disposizione dalla Banca Centrale Europea sostenevano anche imprese e famiglie?

Le domande sorgono spontanee se si va indietro con la mente a qualche settimana fa, precisamente al 30 gennaio scorso, quando sul Corriere della sera veniva pubblicata (a pag. 6) una lunga lettera intitolata «Ecco cosa facciamo per non strozzare il credito» (in risposta all’articolo di Dario Di Vico «Le colpe delle banche che non fanno credito» del giorno precedente), a firma di Alessandro Azzi (Presidente della federazione delle banche di credito cooperativo), Carlo Fratta Pasini (Presidente associazione nazionale fra le banche popolari), Giuseppe Mussari (Presidente associazione bancaria italiana), Antonio Patuelli (Presidente banche Acri), Camillo Venesio (Presidente associazione banche private).

A un certo punto della lettera si legge: «Oggi, grazie al primo intervento della BCE noi italiani, ma dovremmo dire noi europei, siamo stati messi in grado di evitare la riduzione del credito. Da maggio dell’anno scorso, infatti, il mercato della liquidità si è chiuso, ciò ha determinato e determina l’impossibilità di rifinanziare le obbligazioni in scadenza. Senza l’intervento BCE non sarebbe rimasto che chiamare i crediti in essere e ridurre quindi i nostri attivi. Non averlo fatto è un chiaro ed inequivoco sostegno ad imprese e famiglie. Questo è il primo uso di buona parte della prima tranche di liquidità, accreditata solo il 28 dicembre, meno di un mese fa. Oltre a tale impiego la provvista BCE, come ovvio, servirà a sostenere imprese e famiglie in una fase così complicata».

Rileggiamo queste parole alla luce dei dati citati da Giannini che, ricordiamo, si riferiscono al periodo che va da fine dicembre 2011 a fine gennaio 2012. Una buona parte della prima tranche di liquidità messa a disposizione dalla BCE, dicono i banchieri, è stata utilizzata per rifinanziare obbligazioni in scadenza. E ciò corrisponde, evidentemente, a circa 41 miliardi di euro. Rimangono più o meno 28 miliardi dei 69 complessivamente investiti dalle banche nello stesso frangente della prima operazione di rifinanziamento presso la BCE. I banchieri scrivono: «Oltre a tale impiego (il rifinanziamento delle obbligazioni in scadenza, cioè, ndr) la provvista BCE, come ovvio, servirà a sostenere imprese e famiglie in una fase così complicata».

Ebbene, come i numeri hanno svelato, fino a fine gennaio 2012 di questa “ovvietà” non c’è traccia (e la lettera dei banchieri è datata 30 gennaio 2012, quindi tutto quello che c’era da sapere loro dovevano, per forza di cose, saperlo). La parte rimanente della provvista effettuata presso la BCE si evince essere stata investita in Btp e altri titoli di Stato. Con buona pace del sostegno a imprese e famiglie.

Giovedì scorso Repubblica riprendeva (a pag. 24) un virgolettato dell’amministratore delegato di Unicredit Federico Ghizzoni il quale si lamentava del fatto che «verso le banche c’è un clima di diffidenza e forse anche di ostilità». Forse dottor Ghizzoni, solo forse. E chissà poi perché.

Francesco Maggio

Economista e giornalista, già ricercatore a Nomisma e a lungo collaboratore de Il Sole24Ore, da molti anni si occupa dei rapporti tra etica, economia e società civile. Tra i suoi libri: I soldi buoni, Nonprofit (con G.P. Barbetta), Economia inceppata, La bella economia, Bluff economy. Email: f.maggio.fm@gmail.com