Internet è di tutti?

Ho letto molti commenti alla triste e orribile vicenda dell’uccisione del giornalista americano James Foley e in quasi tutti, osservandoli con un po’ di distacco, è possibile ritrovare sullo sfondo una domanda non formulata. E la domanda è: di chi è Internet? A cosa serve Internet?

Non si tratta della solita oziosa discussione filosofica di chi da una evento di cronaca scivola verso i massimi sistemi. È vero l’esatto contrario. La decapitazione di James Foley crea un cortocircuito immediato e doloroso che porta di filato a quelle domande. Di chi è Internet? A cosa serve Internet?

I media, da sempre, nelle società occidentali ma anche altrove, hanno sviluppato una finalità educativa. In contesti come quelli attuali le finalità educative hanno quasi ovunque soverchiato perfino quelle economiche. Quindi non c’è nulla di strano che i grandi giornali, i siti web con milioni di accessi e il sistema editoriale in genere, nel momento in cui il video in HD dell’assassinio è stato diffuso, si siano posti il problema di cosa mostrare e cosa no, di quale rilevanza dare a quelle immagini, di quale dovesse essere il confine oltre il quale l’orrore andasse rifiutato in toto senza gli arrovellamenti del dovere di cronaca.

Meno chiara è la posizione delle piattaforme di rete come Twitter e Youtube. Nate e cresciute fuori dal contesto editoriale e dentro la retorica delle relazioni fra pari, dopo averci alluvionato per anni con il racconto glorioso dell’informazione dal basso prodotta dai cittadini per i cittadini senza il fastidio di ingombranti intermediari, dopo averci raccontato con dovizia di noiosi particolari tecnici l’impossibilità di fermare o controllare il flusso di dati che ogni secondo raggiungeva i loro server, nel momento della diffusione del tragico video Twitter, Youtube e Facebook si sono trasformati in soggetti editoriali a tutto tondo. Impugnati i termini di servizio, scaldati i filtri tecnologici fino al giorno prima minimizzati, questi soggetti hanno iniziato a ripulire le proprie piattaforme dalle immagini dell’orrore giunte dal Medio Oriente. Per una ragione o per un’altra, per seguire la pietas minima dovuta ai familiari di quel giovane uomo straziato o per acconsentire ai pressanti consigli della Casa Bianca, le piattaforme di rete, utilizzate da tutti in tutto il mondo, hanno fatto una scelta di campo molto chiara e da servizio si sono trasformate in prodotto.

Non è importante ora chiedersi se quella scelta sia stata giusta o sbagliata, quello che va sottolineato è che se il New York Times decide di non mostrare quelle immagini terribili compie una scelta editoriale usuale, se Twitter chiude d’imperio profili che hanno semplicemente linkato quelle medesime immagini, compie una azione certamente editoriale ma con tratti censori incontestabili nei confronti dei propri utenti. E lo fa, tra l’altro, all’interno di una ciclopica eccezione, utilizzando per altre differenti ma ugualmente orribili immagini di guerra e dolore (per esempio quelle strazianti dei corpi dei bambini morti sotto i bombardamenti a Gaza), scelte editoriali del tutto opposte.
E comunque sia, anche dentro incongruenze tanto evidenti, anche nel racconto degli editoriali sulle prime pagine dei nostri giornali su quali siano i comportamenti adeguati da parte dei media per non soccombere ai ricatti mediatici dell’ISIS, la domande resta intatta e senza risposta: di chi è Internet? A cosa serve Internet?

E qui giungono le dolenti note. Perché mi pare manchi ovunque il coraggio minimo per dire che se Internet è di tutti è anche dei tagliagole vestiti in nero, i quali del resto, già da tempo, la utilizzano come se. E che se invece Internet non è di tutti ma solo dei buoni, di quelli come noi, allora Internet non è più Internet ma uno dei nostri ben sperimentati orticelli recintati. Nei quali l’orrore (ma anche molto d’altro) può essere tenuto fuori, come se non esistesse, oppure viene raccontato con le attenzioni educative necessarie per quei bimbi che in fondo siamo.

Non ho visto il video orribile dell’uccisione di James Foley e se mi sarà possibile non lo vedrò ma le domande di cui dicevo poco fa non potranno essere eluse per troppo tempo. Se Internet è di tutti, come ci siamo ripetuti per anni, quelle immagini non potranno essere allontanate. Se Internet serve a qualcosa quelle immagini orribili dovremo tutti, pazientemente, imparare a non guardarle.

Massimo Mantellini

Massimo Mantellini ha un blog molto seguito dal 2002, Manteblog. Vive a Forlì. Il suo ultimo libro è "Dieci splendidi oggetti morti", Einaudi, 2020