Il nuovo PD alla prova televisiva

Sembra passata un’era geologica, ma due anni e mezzo fa alla prima Direzione Nazionale del PD a cui partecipai (furono quattro o cinque in tutto) ritenni subito di piantare una grana e spiegare come la vedevamo da fuori, e di suggerire degli esempi di iniziative concrete o di comunicazione. Sono andato a rivedere quell’intervento, dove sostenni questo.

Ricambiamo totalmente se non la dirigenza del partito – non arrivo a chiedere tanta banale ovvietà – ma almeno tutte le figure destinate alla comunicazione pubblica: che da Vespa e Floris ci vada Matteo Colaninno, ci vada Cuperlo, ci vada Alessia Mosca, ci vada Zingaretti, ci vadano i dirigenti di domani, che altrimenti non lo saranno mai, senza nessuna visibilità e autorevolezza pubblica. Vogliono D’Alema e Rutelli? D’Alema e Rutelli dicano no, grazie: e mandino Letta e Cuperlo.

L’anacronismo dei nomi citati è impressionante: Rutelli non c’è più, Letta ora in tv ci va, Cuperlo si è liberato con sollievo dal rischio di avere un qualche ruolo, Matteo Colaninno e Alessia Mosca fanno il loro onesto lavoro di terze file, Zingaretti ancora lo stiamo aspettando e ancora se ne parla. L’unico sempre garantito è D’Alema.
Ma non è di questo che volevo parlare, mi sono lasciato trascinare dei ricordi. È che ieri sera, in chiusura di Ballarò Diego Della Valle ha posto il problema del ricambio generazionale e del fare spazio ai giovani, e Bersani ha ripetuto la storia della sua segreteria composta da quarantenni: che è un po’ una storia, perché pur essendo vera e apprezzabile appare più come una foglia di fico al mancato ricambio della dirigenza vera. Nessuno di voi sa chi siano, quei giovani. E infatti, prevedendo l’obiezione Bersani ha detto che però

“non riesco a mandarne uno in tv… è un problema…”

Chi guardava la tv non ha capito benissimo: cosa voleva dire con “non riesco”? Vedo sul blog di Civati che la poca chiarezza ha spinto qualcuno a pensare che intendesse che non ci vogliano andare, in tv. Che sarebbe un po’ buffo, come prolungata timidezza. Mentre mi pare più plausibile che Bersani volesse sostenere che non li inviterebbero: tanto è vero che Floris, per rispondergli, ha detto “fatelo capogruppo”, mettendo il dito sulla piaga del fatto che nei posti di rilievo – quelli autorevoli per essere invitati in tv – poi ci siano invece sempre gli stessi.

Io credo ci sia una corresponsabilità – guardate che è un aspetto laterale ma non irrilevante, il rinnovamento e la crescita di un partito sono fatti anche molto di comunicazione e di preparazione delle nuove classi dirigenti al confronto pubblico, allo scontro dialettico, alla capacità persuasiva delle loro tesi -, credo ci sia una corresponsabilità tra i programmi tv che per prudenza vogliano vecchi volti familiari al pubblico e il PD che ci tiene a offrire le grandi visibilità televisive ai suoi più solidi e potenti dirigenti. La differenza è che il rinnovamento del PD e la formazione di una nuova classe dirigente non sono affare di Vespa o Floris, mentre lo è del PD stesso: e Bersani sa benissimo che il PD è in grado di contrattare con i talkshow chi va a comunicare il partito agli elettori in tv.

I bravi giovani o quasi giovani del PD (ce ne sono, in mezzo ad altri che sono meno bravi: esattamente come per i sessantenni del PD) devono avere lo spazio e il tempo di diventare anche pubblicamente i dirigenti del PD e di essere messi alla prova e giudicati anche su quello, altrimenti sarà inevitabile aderire all’antipatica idea che non siano all’altezza: Civati e Renzi e Serracchiani lo hanno avuto, e in tv se la cavano, ma guarda caso non hanno responsabilità importanti nel partito. I giovani della segreteria vantata da Bersani, così orgogliosamente “promossi” a sentire lui, nessuno li ha mai visti.


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Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).