Il futuro dei libri

Nella nuova introduzione a Un grande paese ho spiegato perché abbiamo deciso con Rizzoli di aggiornarlo e metterlo in vendita come e-book: soprattutto per ragioni di accelerata attualità dei suoi temi: il dibattito sulla crisi della democrazia e sul ruolo delle élites e delle competenze è diventato infatti come sapete molto vivace con la formazione del governo Monti.
Ma naturalmente ci interessava molto – per ragioni diverse, sia a me che all’editore – l’esperimento di rapido aggiornamento e messa in vendita reso possibile dal nuovo ruolo dei libri digitali. E quando il giorno stesso mi ha chiamato un giornalista di GQ per discuterne, la cosa che aveva stimolato la sua curiosità era soprattutto questa: e mi ha domandato se fosse arrivato il tempo del libro mai finito, in perenne potenziale aggiornamento.

La questione è interessante e a sua volta attualissima. La settimana scorsa ne ha scritto Nicholas Carr sul Wall Street Journal negli stessi termini.

I recently got a glimpse into the future of books. A few months ago, I dug out a handful of old essays I’d written about innovation, combined them into a single document, and uploaded the file to Amazon’s Kindle Direct Publishing service. Two days later, my little e-book was on sale at Amazon’s site. The whole process couldn’t have been simpler.
Then I got the urge to tweak a couple of sentences in one of the essays. I made the edits on my computer and sent the revised file back to Amazon. The company quickly swapped out the old version for the new one. I felt a little guilty about changing a book after it had been published, knowing that different readers would see different versions of what appeared to be the same edition. But I also knew that the readers would be oblivious to the alterations.

La considerazione affascinante che Carr aggiunge è sul rischio che anche i libri – un tempo simbolo della solidità nel tempo: il libro resta, e tutti quei miti lì – diventino oggetto dei capricci dei tempi, delle ricerche di mercato, dei trends di Twitter, del SEO, eccetera. Se il meccanismo attecchisse, io oggi aggiungerei al mio libro un capitolo sul ridicolo nome della figlia di Beyoncé appena annunciato – Blue Ivy Carter, per la cronaca – immaginando che questo lo renda più interessante a un nuovo pubblico che ne troverebbe immediatamente notizia su Google, o a cui lo annuncerei su Twitter. Oppure gli editori potrebbero trovarsi anche loro a voler raccogliere dati sui lettori, su quali pagine leggono e quali saltano, su cosa annotano, eccetera, per poi orientare la loro produzione rispetto a queste informazioni. Non vi sembri folle, è quello che già avviene con molto giornalismo online e non, e anche con molti libri anche se con strumenti meno raffinati: give the people what they want. È il futuro dei libri, forse. Ma anche la fine dei libri, come li conosciamo.

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).