Il fenomeno Barca

C’è un “progetto Fabrizio Barca”. E poi c’è un “fenomeno Fabrizio Barca”.

Non solo non sono la stessa cosa, ma il secondo contraddice il primo. Perché la risposta eccitata all’arrivo del ministro da parte dell’opinione pubblica di sinistra riproduce esattamente la dinamica di affidamento personale che giustamente Barca considera patologica. E che si propone di cancellare, in favore non del ritorno al tradizionale partito di massa bensì di un modello di partecipazione innovativo e sconosciuto in Italia.

Si parlerà molto della piattaforma di riforma del sistema democratico elaborata da Barca. E si parlerà moltissimo del possibile dualismo o accoppiamento con Matteo Renzi.

Qui, a botta calda, vale la pena di annotare una prima sensazione, avvalorata dalle parole dello stesso ministro. Renzi e Barca reagiscono alla medesima crisi dei partiti, che è innanzi tutto crisi del Pd visto che in sostanza si tratta dell’unico vero partito d’Italia.

Il principale punto d’attacco dei due è lo stesso: il partito-stato, con annessi e connessi cioè burocraticismo, sovrapposizione tra militanza politica e ruoli di governo o amministrativi, finanziamento pubblico.

Questo aspetto è cruciale. Perché alla fine può anche darsi che intorno a Barca e Renzi si aggreghino aree diverse del Pd. Entrambe però troveranno fondamento in un’istanza di discontinuità radicale non col passato remoto, ma con l’attualità stretta del Pd. Il cui difetto principale non è di essere troppo di sinistra o di destra, ma di risultare, agli occhi dei cittadini, un partito di puro potere. Sordo, autoreferenziale, conservatore, alla fine anche permeabile alla corruzione: il nocciolo di verità che c’è negli sproloqui di Beppe Grillo.

In questo senso la sortita di Barca è un’ottima notizia. Il suo è un testo d’impostazione accademica (tutt’altro che polveroso). Come avverte lui stesso, non c’è ancora proposta politica. Che rivendichi l’uso della parola sinistra vuol dir poco: è un lusso che si permette sempre anche Renzi, visto che non corre il rischio di essere assimilato all’eredità comunista.

Tra i due c’è uno scarto di tempi. Il sindaco è pronto: la sua partita per la leadership si gioca tra oggi e domani. Al ministro toccherà, se riuscirà, dopodomani: per la minore notorietà, per la profondità del progetto e per il conseguente obbligo (che riconosce) di dover partire dalla gavetta.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.