Dimenticami: c’è il copyright sui miei dati

Come titolo di un romanzo “Il diritto di esser dimenticati” può esser intrigante; anche come incipit di un saggio filosofico. Letto nella titolazione di un articolo di legge -il 17 della proposta del nuovo regolamento europeo sulla privacy- qualcosa stona.
Se tu vuoi dimenticare sei padrone di tentar l’impresa, ma il diritto a che altri ti dimentichino costituisce pretesa insana, che invade uno spazio che non ti appartiene. Paradossalmente, la tua richiesta viola in un qualche modo la riservatezza della mia memoria, che peraltro manco io governo. Purtroppo.
Peggio ancora se si aspira, in forza di un diritto, a modificare la memoria collettiva.
La rubrica dell’art.17 è, a mio parere, semanticamente inaccettabile.
La norma di fatto concede una sorta di diritto di sequela sui propri dati: una specie di copyright, o meglio di diritto morale d’autore sulle informazioni che ci riguardano, che, a legger la norma, non si esaurisce mai. Se anche quel dato è stato volontariamente conferito ed utilizzato da terzi con il consenso dell’interessato, ed anzi, su sua indicazione o per ragioni di pubblica utilità (ad es.di cronaca o critica) è stato reso pubblico e disponibile all’intera umanità sul web, il “titolare” mantiene il diritto di riappropriarsi dell’informazione e di sottrarla alla disponibilità di chiunque ne sia legittimamente venuto in possesso.
Il parallelo con il diritto d’autore mi par meno peregrino di quanto si possa pensare.
Copyright e privacy sono infatti molto simili.
Entrambi i diritti hanno ad oggetto beni immateriali come estensioni della persona. D’altra parte le opere letterarie non sono altro che “dati”, cioè rappresentazioni di fatti, informazioni o concetti, tutelate non perché in se riservate, ma perché la loro “originale” forma creativa le rende personali, espressione e svelamento dell’autore che ne diviene “proprietario”.
La circolazione delle creazioni intellettuali, esattamente come per i dati personali, deve avvenire con il consenso dell’autore che su tali beni deve mantenere un qualche controllo, compatibilmente però con l’interesse generale alla loro diffusione ed alla loro fruizione.
La nascita di entrambi i diritti è poi intimamente legata alla tecnologia che nel consentire nuove modalità di comunicazione, isola il bene immateriale, lo rende fruibile da terzi e dalla collettività e genera l’oggetto del nuovo diritto, sia esso l’opera dell’ingegno o semplicemente il dato personale. La diffusione della stampa a caratteri mobili determinò a fine ‘700 il riconoscimento dei diritti di sfruttamento economico delle opere letterarie così come nel 1890 le istantanee Kodak portarono a riconoscere un nuovo diritto morale alla privacy, come diritto affine ma distinto dal diritto d’autore.
Nel secolo scorso il computer, nato per elaborare elettronicamente i dati, ha poi modificato profondamente entrambi i diritti.
Il copyright, con la moltiplicazione dei diritti e dei titolari, è degenerato nell’attuale aberrante normativa che risulta del tutto incompatibile con le nuove modalità di fruizione ed accesso alla conoscenza proprie del web, mentre il concetto di privacy, più giovane, si è trasformato, almeno in Europa, nel diritto alla protezione dei dati personali consacrato all’art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione.
Per entrambi, tanto per il diritto d’autore quanto per la protezione dei dati personali, è necessario operare un attento bilanciamento tra sacrosanti diritti dei singoli “titolari” e l’interesse della collettività a che le idee, i pensieri e le informazioni (tutte) circolino per creare progresso cultura e conoscenza.
Inevitabilmente è sul web, sulle autostrade dei dati, che si consuma lo scontro tra queste contrastanti esigenze.
Se il copyright, piagato da anni di aspri quanto inutili combattimenti, è oggi oggetto di critica revisione e si intravede un nuovo equilibrio a favore della libera circolazione delle opere dell’ingegno, nel diritto alla protezione dei dati si ha la sensazione di esser ai primi passi di un diritto “giovane”, del quale non sono ancora chiari e definiti neppure i valori di fondo e le forze in campo.

Quell’incommensurabile massa di dati, anche personali, che si sta accumulando sui server del mondo e che si incrementa del 40% ogni anno può esser valutata in molti modi. Per semplificare, può esser considerata solo un enorme giacimento da sfruttare ad opera di rapaci società commerciali o di governi più o meno autoritari, con potenziale abuso a danno di utenti e cittadini, oppure può esser considerata una risorsa straordinaria degna di automa tutela. Può darsi che, senza rendercene conto, stiamo costruendo davvero la base per un intelligenza collettiva, ponendo le basi di una sorta di complesso DNA dell’umanità, che modificherà totalmente le nostre potenzialità intellettive e creative.
Un esempio banale: Google flu trends, dove un filamento informativo insignificante, ma assai personale, costituito dalla mia ricerca su Google su di un antinfluenzale, può consentire, trattato con miliardi di altri dati, di sapere esattamente dove e come si espande la malattia, ed ovviamente può potenzialmente evitare pandemie.
Probabilmente sono vere l’una e l’altra visione.
L’Europa, con l’autorevolezza di chi è un passo avanti a tutti nella difesa dei diritti fondamentali, ha emesso una normativa importante, ma quel romantico “right to be forgotten” rischia di esser una scelta a mio giudizio prematura, e per i dati lecitamente resi pubblici, imprudente.
Se un autore pone in commercio un libro, lo pubblica e lo distribuisce, sulle copie legittimamente vendute perde i diritti. Quella copia circolerà senza il suo consenso perché il diritto di distribuzione si è esaurito. Non è che dopo un po’, resosi conto di aver scritto una scemenza, può ritirare tutte le copie vendute, imponendo ai librai di inseguire i clienti.
Nel “data web” siamo tutti autori, titolari delle tessere che creano il nostro doppio digitale. E’ fondamentale rispettare la scelte di ogni autore, ma in questo tempo siamo chiamati tutti a grandi responsabilità, e soprattutto, non dobbiamo mai dimenticare che sul web sono tutti vicini di casa. Se saltello nudo sul prato, difficilmente potrò pretendere che la mia dirimpettaia dimentichi lo spettacolo, per quanto insignificante sia.

Carlo Blengino

Avvocato penalista, affronta nelle aule giudiziarie il diritto delle nuove tecnologie, le questioni di copyright e di data protection. È fellow del NEXA Center for Internet & Society del Politecnico di Torino. @CBlengio su Twitter