I nuovi paninari della Leopolda

Un po’ l’avevo intuito leggendo il reportage di Concita De Gregorio su Repubblica, dalle descrizioni dell’arredo del palco, dove basta un cesto di frutta per “sottolineare il carattere familiare della convention” o un portatile Apple a garantire l’essere contemporanei, o un frigo vintage della Smeg a “suggerire l’idea di una politica che entra nelle case”.

Poi, nella lunga giornata di domenica – dove era impossibile non imbattersi nel Big Bang fiorentino che si aprisse la tv, il telefonino o il computer – a fare luce su un mio pensiero mi hanno aiutato sia il manifesto “A cosa serve la Leopolda” – pubblicato dal Post e redatto da Antonio Campo Dall’Orto, Giuliano Da Empoli, Giorgio Gori e Riccardo Luna – sia i tweet degli amici di Rivista Studio che commentavano a modo loro il raduno politico.

Nel manifesto spiccava questa frase:

Il sorpasso in borsa di Apple ai danni di Microsoft ha segnato il primato del capitalismo culturale. Un sistema nel quale il valore estetico e di esperienza dei prodotti conta almeno quanto il loro contenuto tecnologico. Possibile che, in un contesto del genere, l’Italia non riesca a trovare la sua strada?

Tra i tweet di Rivista Studio vi segnalo questi:

Macbook e iPhone, in sala svariati iPad. La zona dove c’è meno Apple è la sala stampa (modelli di pc mai visti prima)

Appunti di stile dalla Leopolda: molte giacche, pochissime cravatte. Molti jeans, molti cardigan, ora tocca al dolcevita blu navy di Delrio

Sentito alla macchinetta del caffé: “sembra di stare a Mtv” detto con sopracciglio alzato e piglio snob. Nostalgia canaglia

Scurati jobsiano, lupetto scuro, denim, in piedi

Zingales camicia rigata, manica rotolata appena sopra il polso, sgabello, iPad. Contemporaneo. Si vede che sta in ammerica

Eccoci, ci siamo, bentornati paninari! Dagli anni Ottanta ne è passato di tempo, siamo passati dal Big Mac con i cetrioli al Mac con il wireless, ma i punti di contatto tra vecchi e nuovi “galli di ddio” (vecchio slang per indicare i paninari più paninari degli altri) sono più di quello che sembrano:

Come i vecchi paninari, metropolitani e cultori dell’America, anche i nuovi aderiscono a uno stile di vita legato al consumo, che celebra il buon capitalismo. La novità è il passaggio dal capitalismo edonista, fatto di anfibi Timberland e calze Naj Oleari, a quello culturale fatto di tablet e scarpe Masai della Mbt, di cui si esalta – come dice il manifesto Leopoldino – il valore non solo tecnologico ma estetico e di esperienza dei prodotti.

I paninari degli anni Ottanta con il loro essere apolitici rappresentavano un punto di rottura con i super politicizzati anni Settanta. I nuovi invece rappresentano la distanza da un vecchio modo di fare politica, “i brontosauri” secondo il nuovo slang, evoluzione del vecchio “i sapiens” di paninara memoria.

Se ai vecchi paninari stavano sulle palle i ciàina, ovvero i cinesi – così venivano chiamati i militanti della vecchia sinistra post 1977 – i nuovi vedono come fumo negli occhi le gerarchie partitiche stile PCI/DS e il ciàina in questione è D’Alema.

Il disimpegno del vecchio paninaro si è evoluto verso la ricerca di un nuovo tipo di impegno (ancora non ben delineato) del paninaro contemporaneo.

Il punto di ritrovo dei vecchi paninari era il fast food, quello dei nuovi è lo slow food, ovvero la trattoria vintage.

I nuovi “gini” o “truzzi”, ovvero chi per stile di vita non rientra nella categoria dei paninari, sono quelli che non hanno facebook o twitter, o ancora peggio hanno una polverosa tessera del sindacato. Per essere “gini” una volta bastava non avere il Moncler.

I vecchi paninari andavano in vacanza a Courmayeur o a Santa Margherita, i nuovi a New York, possibilmente al Village o a Brooklyn.

I vecchi erano machisti e chiamavano le donne “sfitinzie”. Anche i nuovi paninari lo sono, ma sono circondati da molte meno donne.

I vecchi miti erano Rocky e Rambo, i nuovi Marchionne e Steve Jobs.

Prima si guardavano i Duran Duran su Videomusic, ora si scaricano sull’iPod, ma sempre e comunque i Duran.

Se i vecchi paninari inaugurarono i tempi dell’edonismo e della superficialità, i nuovi ne celebrano i funerali. Sarà per questo che prediligono il nero e il blu scuro.

I vecchi paninari non diedero il nome a nessun movimento (mai si è parlato di “paninaresimo” o “paninarismo”). Per i nuovi è presto dirlo, ma possiamo scommettere.

Si potrebbe andare avanti, ma voglio solo ricordare che nella città dove vivo e sono nato, Milano, i nemici storici e protagonisti di numerose risse con i paninari furono i punk.

E se esistono e mi invitano, io alla Leopolda dei nuovi punk ci vado.

Giovanni Robertini

Vive a Milano. Come autore televisivo ha fatto parte del gruppo di brand:new e di Avere Ventanni per Mtv; de L'Infedele e di Invasioni Barbariche (dove si trova ora) per La7. Ha pubblicato il libro "Il Barbecue dei panda - L'ultimo party del lavoro culturale"