I fuori onda, la furtiva mano e lo scaracchio di verità

Il fuori onda è caduto negli ultimi tempi un po’ in disgrazia non già per deontologica ritrosia dei satirici programmi quanto per infurbimento dell’ospite televisivo medio che, alla stregua di qualsiasi giocatore di calcio dai pulcini in su, ha tosto imparato che se proprio non riesce a star zitto deve dir le cose scomode coprendo prima le pudende boccali o microfoniche con furtiva mano. Il fuori onda, però, alla fine, in parte anche grazie alla sua attuale eccezionalità, continua ad avere una irresistibile attrattività per lo spettatore moderno, costantemente affamato di verità senza filtri e mai veramente soddisfatto dal junk food della verosimiglianza stile reality show.

Ma lo show, appunto, deve andare avanti. E se c’è l’onda, nonostante l’escamotage del silenzio forzato o della manella a cucchiaio, il fuori onda prima o poi scappa – come il tocco e il ritocco di Totò: ogni tanto qualcosa filtra tra le maglie larghe della noia da talk show e delle pause pubblicitarie.

Che poi c’è differenza tra onda e onda (non fare l’onda, recitava d’altronde una vecchia barzelletta coprofoba). In un campo di calcio temibile è l’occhio spione e lunghissimo delle telecamere che scrutano i labiali – ergo la miglior strategia di difesa è la mano davanti alla bocca. In uno studio televisivo, invece, se proprio si vuole la certezza d’inintercettabilità, serve sfruttare senza sconti la dotazione bimana del genere umano: una va davanti alla bocca e l’altra a coprire il microfono. E se proprio bisogna scegliere, meglio coprire il microfono.

Questa la teoria che però spesso nella pratica non basta; nella pratica infatti conta soprattutto la velocità del gesto, la rapidissima corrispondenza d’amorosi sensi tra pensiero e azione. Cosa che per esempio non è accaduto durante un recente Ballarò. Dove in uscita da un servizio – più breve dello standard del programma di Rai Tre, unica scusante tecnica – il ministro della Difesa Ignazio La Russa non si accorge di essere in onda e continua a confrontarsi con gli assistenti che a Ballarò fanno da pizzini viventi al politico ospite, licenziando un imbarazzante “Lukashenko, ma chi è questo?” (qualche minuto prima Casini lo aveva sfidato a citargli prima della fine della trasmissione un altro leader occidentale che non fosse Berlusconi e che fosse andato ad omaggiare il discusso leader bielorusso). Il ministro, come dimostra il video nella concitazione del momento e con Floris che si schiarisce la voce a due passi, copre correttamente il microfono – ma quando i sottotitolabili buoi sono scappati.

Ma l’ultimo vero fuori onda in ordine di tempo è quello succhiato dalla bassa frequenza Mediaset dalle idrovore dei dvd sempre accesi di Antonio Ricci. Tra gli altri mi ha colpito il primo, che ha come protagonisti il viceministro della Lega Castelli e il presidente della Regione Lombardia Formigoni, ospiti a Matrix, tranquilli come chi gioca in casa.

Ci sono risvolti politici importanti, quali l’insofferenza (per altro in queste ore praticamente generalizzata) per la strategia Santanché e Santanché medesima – ma trovo più affascinanti i piccolissimi dettagli delle chiacchiere in libertà: la voglia alogena di togliersi la giacca, le coccole del trucco, le ammissioni come quella di Castelli (“Nell’analisi dei flussi sono sempre stato una pippa”), l’offerta del biscotto. Affascinanti e ipnotici come gli scaracchi al rallenty che di solito suggellano un fuori onda calcistico. La verità, d’altronde, si sa, è uno sputo.

Antonio Sofi

Giornalista e consulente politico, lavora come autore per Agorà su Rai Tre, per cui cura anche uno spazio dedicato alla tv politica del giorno prima. Ha un blog dal 2003, Webgol