Hype

La discussione sulla distanza tra una gerarchia delle notizie che riprenda il vecchio motto del New York Times – “All the news that’s fit to print” – e la scelta delle notizie operata dai media italiani contemporanei, è una delle cose che stanno alla base del progetto del Post: senza troppi moralismi o veterotrombonismi, ma per rimettere un po’ d’ordine e ridare un po’ di senso al concetto di informazione e alla sua utilità sociale. Con questi pensieri ha a che fare quello che scrive Julie Moos a proposito del dibattito nato sulla presunta sopravvalutazione da parte dei media dell’uragano Irene e delle sue conseguenze (sopravvalutazione discutibile negli USA, indubbia qui da noi, che viviamo dall’altra parte del mondo). Il suo criterio sullo “hype” – termine efficace e intraducibile esattamente che definisce ciò che viene “gonfiato”, diciamo – è insieme genericissimo (la valutazione, così, suona un po’ soggettiva) ma anche chiarissimo, e lo riporto.

When we say something was “hyped” or “overhyped,” we mean it was dramatized — made more exciting than it naturally is — or made more important based on questionable evidence. Cars have been hyped, weddings, athletic contests.

Mi segno anche il contrario di hype secondo Moos: misura. E queste sue parole, che confermo del tutto:

This disconnect between interest and information presents a real problem for journalism, along with a changing media ecosystem that offers consumers more viable choices.


Vedi anche:

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).