È una lunga storia

Per quelli che sanno chi sia, Nicholas Carr è diventato un uomo piuttosto noioso. Aveva scritto delle cose discutibili ma stimolanti in quel suo vecchio articolo intitolato “Google ci rende stupidi?” e aveva aperto un nuovo fronte critico rispetto ai cambiamenti indotti dalle nuove tecnologie. Ma poi ci ha preso gusto ed è diventato un professionista dell’anti-internet e non passa giorno che non ne spari una nuova per vendere il suo libro tratto dai pensieri di quell’articolo. Siamo più stupidi, non leggiamo più, ragioniamo male, siamo superficiali e bla bla bla tra poco avrà da ridire anche sul modo in cui dormiamo da quando c’è internet (con tutto un arguto ragionamento, per carità).

Ma insomma, perché stavo parlando di Carr? Ultimamente perdo il filo.
Ah, ecco. Perché di certo un effetto certo del cambiamento per me è che non ho più tempo di leggere niente fuori dal computer o dall’iPhone o dall’iPad o dal Kindle. Ovvero, peraltro, luoghi su cui si legge qualunque cosa, quindi va anche bene così. Io la carta non la frequento davvero più. L’unica cosa che mi manca, però, della carta, sono le cose lunghe. Non che in rete non ci siano – ci sono meno – ma uno non ha tempo e abitudine di stare a leggere una cosa lunga senza farsi distrarre da altre cento brevi (e meravigliose, eh). Non leggo libri da mesi e mesi, forse anni: cioè, li apro, ne leggo dei pezzi, o li sfoglio, ma non li riprendo quasi mai. Ne apro degli altri, eccetera. So di cosa parlano, insomma, e anche come sono scritti. Conoscenza superficiale, eccetera: ma io avevo un’attitudine alla conoscenza superficiale già prima che il mondo diventasse a mia immagine ed accoglienza. Volete che ve lo racconti? O stavamo parlando d’altro?
Comunque, non leggo più un libro intero.

Poi ci sono gli articoli lunghi, quelli che pubblicano gli americani, spesso bellissimi. Me ne ricordo molti come si ricordano bei libri a cui si è affezionati. Eccone tre:

– le paperelle nell’oceano (Harper’s)
– i fratelli Collyer, disposofobi (New Yorker)
– David Foster Wallace su McCain (Rolling Stone)

Un altro, va’.

– il primo pezzo in cui ho letto di cosa fosse stata veramente Katrina (New Yorker)

Del New Yorker ne ho in mente manciate. Sono appassionanti come romanzi, raccontano storie vere, e finiscono prima che ci si possa annoiare o prima che sia ora di andare. Ancora ne leggo, ogni tanto, ma molto meno. Li stampo, li salvo, tengo le finestre aperte per un po’. L’altroieri mi è capitato sotto gli occhi questo pezzo di Rolling Stone su Obama e il disastro della BP: otto pagine. Ce l’ho lì.

Non so se conoscete Instapaper. È un servizio con un ampio fronte di cultori che permette di archiviare articoli online che si vorranno leggere successivamente. Per chi ha ancora dei “successivamente” nella vita è una buona ed efficace idea: io non lo uso molto perché mi sono accorto che archiviavo e basta. Adesso vedo che due volenterosi hanno aperto Longform, un sito dedicato ad articoli lunghi – i buoni, vecchi, articoli lunghi – da salvare e leggere con Instapaper.

Bell’idea, bravi. Prometto che domani leggo il pezzo sulla storia di Blonde on blonde di Bob Dylan. E anche David Foster Wallace su Roger Federer.

p.s. aggiungo che, confidando su abitudini diverse dalle mie, volevamo creare una rubrica di questo genere sul Post: ma la disponibilità di eccellenti pezzi lunghi in italiano è scarsissima.


Vedi anche:

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).