La deriva dell’opposizione “di sinistra”

Il governo di Matteo Renzi ha bisogno di un’opposizione, come qualunque altro governo. Serve per far meglio, serve per capire gli errori, serve per bilanciare il potere, serve per rendere più chiare le scelte agli occhi dei cittadini. Meglio ancora se c’è un’opposizione di sinistra, anche interna allo stesso Pd nella logica del partito all’americana, perché su lavoro, ambiente, diritti civili e immigrazione le spinte di destra sono in Italia fin troppo forti, su alcuni temi addirittura estreme. La critica da sinistra deve però rimanere rigorosamente nell’ambito di quella che una volta si chiamava “cultura di governo”, quando la sinistra non era così avezza a frequentare il governo e le veniva assai più facile la collocazione minoritaria, radicale, indifferente alle compatibilità. Invece è inquietante come aree e dirigenti autorevoli nella politica e nel sindacato stiano slittando, per avversione a Renzi, su posizioni minoritarie al limite dell’infantilismo, con evidenti arretramenti perfino rispetto alla solida tradizione del riformismo socialdemocratico e laburista.

Non sarà un caso se, sfondone degli esodati a parte, nessun partito con responsabilità di governo abbia dal 2011 a oggi pensato di mettere in discussione la riforma delle pensioni: banalmente, Elsa Fornero con tutti i suoi errori ha ridato sostenibilità a un sistema che stava per trascinare l’Italia nella catastrofe. E Susanna Camusso deve stare veramente in gran confusione, se anche solo ipotizza di mettere la grande Cgil nella scia di Matteo Salvini a sostegno di un referendum insensato, demagogico, pericoloso anche solo da ipotizzare visto che spaccherebbe verticalmente gli italiani su una questione delicatissima.
Analogamente, Stefano Fassina accumula analisi e dati anche interessanti sull’andamento della crisi globale, il nocciolo della sua nuova posizione rimane però riassunto in due formule che da viceministro di Letta avrebbe trovato aberranti: «il superamento cooperativo dell’euro» e «la dis-integrazione ordinata». Con la beata irresponsabilità di chi oltre tutto propone una ricetta europea che dovrebbe essere per tre quarti applicata non da noi bensì dalla Germania, ma a tutto nostro beneficio.
Se alle scivolate di Camusso e Fassina si aggiunge quella (di nuovo sull’euro) di una persona solitamente prudente come Gianni Cuperlo, il quadro della patologia è completo.

Non stupisce che altri critici del premier ma più riflessivi e forse attrezzati, come Antonio Misiani, si siano ritratti inorriditi da queste fantasie cripto-leghiste o para-grilline. Un po’ per serietà, un po’ per un calcolo politico semplice: se l’opposizione di sinistra a Renzi è questa, il sogno dalemiano della rivincita comincia già a sfumare in una specie di utopia giovanile.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.