Amelia, del Partito Pirata

Questa intervista con Amelia Andersdotter è pubblicata sul numero di Wired in edicola.

Da quanto sei al Parlamento Europeo?
Dipende.

Dipende da cosa?
Sono al Parlamento Europeo, in effetti. Sto lavorando al Parlamento Europeo da gennaio, ma la transizione verso il Trattato di Lisbona non è ancora completata, e quindi non sono ancora formalmente un deputato. Dovrei diventare intanto un “osservatore”. Non tutte le nuove nomine nazionali sono state individuate e devono avvenire simultaneamente. Spero che la questione si chiuda entro la primavera.

L’elezione col Partito Pirata ti ha cambiato la vita?
Uhm. Sì.

Ti dispiace aver lasciato l’università?
Qualche volta, ma l’università serve a imparare cose, e c’è un sacco da imparare a Bruxelles.

E che vita fai? Lavoro e malinconiche serate in birreria con colleghi spagnoli e polacchi?
Non sono mai maliconica. O molto felice, o molto triste. Ho affittato una stanza in una casa di Bruxelles, vicino alla metro, e ci sono molti parchi vicino. E molti supermercati (pensavo non avessero i supermercati, in Belgio).

E il lavoro com’è? In Italia c’è una vecchia polemica sugli stipendi eccessivi dei deputati europei rispetto alla mole di lavoro.
Una volta c’erano molti deputati che non andavano quasi mai in commissione a Bruxelles e comparivano solo a Strasburgo. Altri che non andavano neanche a Strasburgo. Però dal 1999 le cose sono cambiate, il parlamento ha acquistato più importanza e la maggior parte dei deputati si sbatte parecchio. Quanto agli stipendi, per gente che si fa il mazzo sei giorni alla settimana e ha la responsabilità del funzionamento dell’Europa, se li meritano o no?

Non so, dimmi tu.
Te lo dirò, al momento non l’ho mai vista, una paga da deputato.

Come sei finita nel Partito Pirata?
Grazie a un amico.

Quali sono le cose migliori che il PP ha fatto finora?
Beh, più di cinquantamila persone hanno aderito a un movimento che vuole creare una società dell’informazione più libera e giusta. Nascono Partiti Pirata in tutto il mondo: evidentemente c’era un vuoto politico e il PP lo sta riempiendo. È un successo.

Da deputato su quali progetti pensi di lavorare?
Questioni industriali e di ricerca: sulle nuove tecnologie di comunicazione e il loro impatto sulla privacy e sulla raccolta di dati. E credo sia importante facilitare l’accesso ai contenuti culturali: librerie, database, queste cose. E maggior trasparenza nelle istituzioni. Ho lavorato sul controllo dei bilanci e mi interessano i meccanismi in quel campo.

Quali altre questioni politiche ti interessano, a parte queste?
Quasi tutte.

Ci sono altri partiti con cui avete sintonia?
Il PP belga e il PP olandese, direi.

Ma sulla pirateria, quali comportamenti sostenete e quali no?
Tutti quelli che facilitano l’accesso delle persone alla cultura, alla conoscenza e alle informazioni che altrimenti non potrebbero raggiungere sono buoni. Tutti quelli che creano innovazione e incoraggiano il progresso sono buoni.

Secondo te la questione del diritto d’autore nell’era di internet si affronta con regole diverse o bisogna ripensare completamente il suo senso?
Probabilmente dobbiamo riconsiderare il modo in cui pensiamo alla cultura e alla sua produzione in generale. Non è nemmeno una questione di regole e copyright: sono come esplose in un pessimo approccio che avvilisce ogni libertà e innovazione culturale. Con quello che è successo in questi 20 anni in termini di accessibilità delle informazioni, la cosa più sensata è adattare le economie e la produzione di cultura. Ogni altro atteggiamento è assurdo.

Quando l’industria musicale dice che la pirateria danneggia il mercato e limita le opportunità per gli artisti commercialmente meno forti che non trovano compenso per quello che fanno, si sbaglia del tutto? O qualcosa in questo discorso ha senso?
No, non ha senso. E sì, l’industria musicale si sbaglia del tutto. E non voglio dire che tutto può funzionare come prima e tutti contenti: probabilmente gli artisti grandi e piccoli non potranno più lavorare nel modo di sempre. Ma questo crea nuove opportunità e vantaggi per quelli – grandi e piccoli – che sperimentano nuovi metodi di lavoro nel nuovo sistema di business. E innovatori di questo genere ce ne sono eccome.

Cosa pensi del dibattito su Google? È un grande servizo per gli utenti e dev’essere libero di sfruttare I contenuti disponibili, o rappresenta un pericolo per il resto della rete?
Mah: il resto della rete è in pericolo se qualcuno limita la possibilità di raccogliere informazioni da parte dei motori di ricerca. Quanto all’uso dei dati privati individuali, quest’uso da parte di Google è stato glià limitato con iniziative legali e politiche che hanno portato a limitazioni dell’uso degli indirizzi IP, dei cookie e delle informazioni legate ai dati personali.

In India hanno approvato degli emendamenti piuttosto libertari alla legge del Copyright. Cory Doctorow ne ha dato un buon giudizio, voi cosa ne pensate?
In molti paesi del terzo mondo gli accordi TRIP sulla proprietà intellettuale sono stati assunti in modo troppo rigido, mentre c’erano dei margini di elasticità che potevano essere sfruttati meglio Alcuni di questi paesi stanno cercando di rimediare, ma il problema sono gli accordi stessi. L’India dovrebbe essere libera di costruirsi una sua legge in materia che non sia dettata dagli interessi dell’industria occidentale.

L’Economist ha scritto che invece sta funzionando la legge contro la pirateria in Corea del Sud.
Sta funzionando per chi? Per i cittadini o per il business? A quanto ne so io la cultura e l’arte in Corea del Sud stanno soffrendo molto, e proprio per questo molti studiosi e attivisti si stanno alleando con i loro colleghi americani per contestare gli accordi tra i due paesi in questo settore.
Quindi sì: se per “funzionare” intendono uccidere la libertà della cultura e gli artisti indipendenti, hanno ragione. Sta funzionando.

Pensi che un Partito Pirata sia una cosa possibile in Italia?
So che si sta cercando di fondare un PP italiano ma non sono direttamente in contatto con chi se ne occupa. Sicuramente sarebbe utile per far luce su questi temi. La condanna italiana a Google ha dimostrato che ce n’è un gran bisogno. Se poi diventasse forte, i ministri italiani che si battono per il diritto alla diffusione della cultura troverebbero un sostegno utile, no?


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Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).