Una vita da Tiger Woods
Compie 50 anni uno dei più grandi golfisti e sportivi di tutti i tempi, protagonista di una storia molto raccontata e spesso semplificata

Tiger Woods, che oggi compie 50 anni, è stato uno dei golfisti più talentuosi e celebri di sempre, uno degli sportivi più raccontati e discussi: per la sua carriera straordinaria, per la sua controversa vita privata, per la sua competitività fuori dal comune e per l’ossessione maniacale per il suo sport. La sua vita è stata spesso raccontata dai media attraverso uno schema narrativo molto apprezzato: quello del “bambino prodigio” che diventa fortissimo, si ritira per colpa di grosse difficoltà personali e poi torna a vincere, in una sorta di “redenzione” finale. In un certo senso la vita di Woods è stata davvero così. Altre volte, però, questa narrazione è stata forzata a tal punto diventare inadeguata, fuorviante o persino problematica.
Tiger Woods, il cui vero nome è Eldrick Tont Woods, fu in effetti un talento precoce. Nacque nel 1975 e iniziò a giocare a golf a soli due anni per scelta di suo padre Earl Woods, un veterano della guerra del Vietnam e un grande appassionato di golf. Il soprannome di “Tiger” glielo diede il padre ispirandosi al nomignolo di un soldato vietnamita conosciuto durante la guerra. Tiger Woods era talmente bravo da finire in televisione, e quando aveva cinque anni, Golf Digest (la più importante rivista specializzata sul golf) pubblicò un articolo su di lui.
Tiger Woods in televisione a due anni: lui stesso l’ha definito il primo ricordo che ha del golf
Con quell’inizio, era difficile che non ci fossero enormi aspettative. Anche perché sia al liceo che all’università Woods dimostrò di essere un golfista molto promettente e stabilì numerosi record. Per capire la misura delle aspettative che c’erano sul giovanissimo Woods, non appena diventò un professionista Nike firmò con lui un accordo di 5 anni per 40 milioni di dollari. Era il 1996 e per l’azienda fu un azzardo, perché Woods aveva disputato pochissime competizioni professionistiche e senza risultati particolarmente buoni: una cosa comprensibile, dato che le gare di golf sono spesso psicologicamente molto provanti, soprattutto per un ragazzo così inesperto.
Nike però ci aveva visto giusto. Nemmeno un anno dopo Woods vinse il Masters di Augusta, uno dei quattro Major, i tornei più importanti del golf professionistico. A 21 anni divenne il più giovane vincitore della competizione (lo è ancora), e il margine di 12 colpi con cui si impose è ancora ineguagliato. Fu inoltre il primo giocatore non bianco a vincere il Masters, un torneo tra i più tradizionalisti e patinati del golf.

Tiger Woods, immancabilmente vestito di rosso, durante quel Masters, 13 aprile 1997 (Stephen Munday/Allsport/Getty Images)
Il New York Times scrisse di quel torneo che furono i «quattro giorni che cambiarono il golf». La vittoria di un ragazzo così giovane, non bianco e con quel nome così orecchiabile diede una maggiore visibilità allo sport, nonché la speranza (poi ridimensionata) che il golf sarebbe stato più inclusivo.
Ma più che il golf fu Tiger Woods a diventare mainstream, popolare e conosciuto oltre il golf. Già pochi mesi dopo la sua vittoria al Masters, P. Diddy – uno dei tanti nomi d’arte di Sean Combs, allora tra i rapper e produttori più famosi al mondo – gli dedicò il video della canzone “Mo Money Mo Problems” (del rapper Notorious B.I.G. ma pubblicata postuma da Combs). Nel video P. Diddy interpreta un golfista chiamato Puffy Woods.
Tra il 1997 e il 2008 Woods ebbe gli anni migliori della sua carriera. Vinse 14 Major e rimase a lungo primo nel ranking mondiale. È solo uno dei sei giocatori ad aver vinto tutti i Major in carriera (ad aver cioè completato il “Career Grand Slam”) e l’unico ad averli vinti tutti e quattro consecutivamente. Ce la fece tra il 2000 e il 2001 e fu considerato un evento talmente unico da essere rinominato dai media Tiger Slam.
Secondo chi ci ha giocato contro il golf di Woods era senza difetti: sapeva fare tutto (dai colpi lunghi ed esplosivi a quelli corti e precisi), aveva un’etica del lavoro straordinaria e, soprattutto, una sicurezza senza pari. Lo dimostra il fatto che tra il 2002 e il 2005 Woods sbagliò soltanto 3 putt su 1.543 tirati entro il metro. I putt sono i tiri decisivi, quelli che devono entrare in buca; e sbagliarne così pochi è davvero fuori dal comune.
Per storia personale, stile di gioco e carisma Woods divenne uno degli sportivi più famosi, apprezzati e pagati al mondo, ma una serie di infortuni, scandali e incidenti pose fine a questo periodo di grande successo. Nel 2008 saltò alcuni tornei a causa di un infortunio al ginocchio e nel 2009 emersero i suoi numerosi tradimenti coniugali, per i quali si scusò pubblicamente, prima di ritirarsi per qualche mese dalle competizioni.
Al suo ritorno Woods, non più idolatrato e spesso criticato dai media, non riuscì a ritornare ai livelli precedenti e nei nove anni successivi non vinse alcun Major. Per provare a porre fine ai suoi dolori alla schiena si operò più volte alla colonna vertebrale e quando invece giocava c’erano colpi dopo i quali non riusciva più a stare in piedi.
Nel 2017 fu poi arrestato per presunta guida in stato di ebbrezza (alla fine si scoprì che prendeva troppi antidolorifici) e sembrò che la sua carriera fosse ormai finita. Ma tornò di nuovo – sempre ad alti livelli nel 2018, vincendo nel 2019 il Masters di Augusta. Quest’ultima vittoria è raccontata, a buon ragione, come uno dei ritorni più eccezionali nella storia dello sport.

Tiger Woods, ancora vestito di rosso, durante l’ultimo round del Masters del 2019, 14 aprile (David Cannon/Getty Images)
Anche a fronte di questa eccezionale vittoria, i dieci anni senza trofei di Woods (tra il 2008 e il 2019) sono stati spesso romanzati, seguendo uno schema molto diffuso nel giornalismo sportivo. Brian Phillips di The Ringer lo riassume molto bene:
Le pressioni della fama fanno emergere i difetti nascosti nella psiche del genio, e proprio quei tratti che lo avevano aiutato a emergere ora alimentano la sua caduta fino al punto C, disgrazia e umiliazione: le numerose relazioni extraconiugali di Tiger si trasformano in un ciclone mediatico, il suo matrimonio crolla e il suo gioco lo abbandona, portandolo a un lungo declino in classifica e a una macchia di scandalo che minaccia di oscurare il resto della sua carriera.
Solo quando il genio si riconcentra su ciò che conta davvero riesce a risollevarsi fino alle vette del punto D, forse non esattamente alte come il punto B, ma comunque molto, molto al di sopra del punto C: Tiger si dedica ai bambini, non rinuncia al golf, riconquista la fiducia dei suoi fan e alla fine riesce a risorgere vincendo un altro Masters.
È un tipo di storia “da film” che funziona molto nel giornalismo sportivo. Lo si vede bene con Tiger (2021), l’apprezzato documentario di HBO sulla vita di Woods. Tra le altre cose, il documentario racconta come, dopo la morte del padre nel 2006, Woods cominciò ad allenarsi con e come i Navy SEALs, il gruppo d’élite della marina statunitense. Per Woods fu un modo per affrontare il lutto, vista la profonda relazione che aveva col padre e l’ammirazione che nutriva, di conseguenza, per l’esercito.
Secondo Phillips a guardare il documentario sembra che sia stata proprio questa scelta di Woods a contribuire ai numerosi infortuni e dolori e a spingerlo, dunque, verso una «serie di relazioni sessuali anestetizzanti».
Dal trailer si intravede già qualcosa
Semplificazioni di questo tipo sono però evidentemente forzate: riducono la complessità a qualcosa di più facile da raccontare, e cercano di omologare la vita di Woods a quella di altri grandi sportivi: il cestista Michael Jordan, per esempio, si ritirò proprio dopo aver perso il padre, per poi tornare a giocare. Storie di questo tipo finiscono in genere per spiegare il declino fisico di Woods attraverso un suo presunto declino morale, che in certi casi prende pochissimo in considerazione la componente mediatica della storia.
In realtà furono la precocità di Woods, il suo stile di gioco e l’ossessione nel perfezionarlo le cause principali dei suoi infortuni e dei suoi insuccessi. Quando colpiva la pallina, per esempio, Woods ruotava molto la schiena, compiendo uno sforzo che, a lungo andare, gli provocò dei danni.
C’è poi da dire che la carriera di Woods non si è affatto conclusa con una “redenzione”. Non si è ancora ritirato ufficialmente, ma dopo la vittoria al Masters del 2019 ha fatto ben poco nel golf; anzi, ha rischiato ancora una volta di dover smettere: nel 2021, dopo un grave incidente automobilistico, rischiò l’amputazione della gamba destra. È tornato a giocare nel 2022, ma in modo sporadico e senza risultati significativi. È dallo scorso luglio che non gioca un torneo professionistico e nel 2025 è stato operato due volte: al tendine d’Achille e, per la settima volta, alla schiena. Al momento non è chiaro se e quando tornerà a giocare: nemmeno lui lo sa.



