Perché in Emilia-Romagna il rischio di alluvioni è sempre così alto?

I problemi sono dovuti in parte alla geografia della regione, ma di mezzo c’è anche l’intervento umano

Vigili del fuoco durante l'alluvione del settembre del 2024 in Romagna
Vigili del fuoco durante l'alluvione del settembre del 2024 in Romagna (Fabrizio Zani/LaPresse)
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Negli ultimi tre anni e mezzo diversi abitanti della zona di Faenza, Bagnacavallo e Castel Bolognese, in Emilia-Romagna, sono stati evacuati sei volte, l’ultima due giorni fa. Hanno passato la notte tra il 25 e il 26 dicembre da parenti o amici, e chi non aveva una sistemazione ha dormito su brande nei palazzetti comunali. I fiumi non sono esondati e non ci sono stati particolari danni, ma ormai chi abita in quei paesi sa che deve abituarsi a queste allerte ricorrenti, a questa perenne condizione di precarietà. Anche con centinaia di milioni di euro spesi per costruire nuovi argini, vasche di laminazione, canali e protezioni, infatti, difficilmente il territorio che va dagli Appennini al mare potrà mai essere del tutto al sicuro.

Ancor prima di questa allerta, le alluvioni del maggio del 2023 e del settembre del 2024, quando migliaia di persone rimasero senza casa, avevano mostrato in modo evidente quanto in Emilia-Romagna sia elevato il rischio di alluvioni. Da anni l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), un ente di ricerca pubblico legato al ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, rappresenta questo rischio con una mappa che indica la percentuale di abitanti esposti alla “pericolosità idraulica” media o alta. In molti comuni dell’Emilia-Romagna, molti più che in altre regioni, la percentuale raggiunge il 100%.

In generale l’Italia rispetto a molti altri paesi europei è esposta naturalmente al rischio di alluvioni perché lo spazio per contenere l’acqua delle esondazioni è limitato. L’Emilia-Romagna è la regione più esposta a questo rischio in un paese già molto esposto: da una parte ci sono gli Appennini, dall’altra il mare Adriatico, e nel mezzo una fitta rete di fiumi e canali di scolo costruiti per drenare l’acqua. Quando dal cielo ne piove troppa in poco tempo, questa rete non riesce a smaltirla.

La particolare conformazione della regione, in particolare della Romagna, influisce sugli stessi eventi atmosferici. Le correnti umide che provengono dall’Adriatico, per esempio quando soffia lo Scirocco, vengono bloccate dagli Appennini che fanno da barriera. In alcuni casi questo blocco può generare il cosiddetto effetto Stau (una parola tedesca che significa ristagno): l’aria carica di umidità sale lungo le montagne, si raffredda e scarica enormi quantità di pioggia in aree ristrette e per tempi prolungati.

Sia nel maggio del 2023 che nel settembre del 2024 i fiumi si sono caricati di acqua soprattutto nelle zone appenniniche per poi scaricare le piene in modo violento in pianura. Anche tra il 24 e il 26 dicembre sono state registrate quantità eccezionali di pioggia dovute all’effetto Stau: a Trebbio sono scesi 250 millimetri, a San Cassiano sul Lamone 237, a Rivera 210. Si tratta di almeno il doppio di tutta la pioggia che dovrebbe cadere nell’intero mese di dicembre, stando ai dati storici.

A queste caratteristiche di natura geografica e morfologica se ne aggiungono altre che dipendono dall’intervento umano. La gran parte della pianura dell’Emilia-Romagna infatti è il risultato di secoli di bonifiche, possibili grazie a canali costruiti per portare l’acqua verso i fiumi e poi verso il mare. Molti fiumi sono pensili, ovvero scorrono a un livello più alto della pianura e alle case, contenuti da argini artificiali. Quando cede un argine, l’acqua non allaga solo le sponde, ma “cade” sulla pianura in modo violento, come è accaduto a Traversara di Bagnacavallo nel settembre del 2024.

Negli ultimi decenni poi in molte città e comuni dell’Emilia-Romagna si è costruito tanto. È stato consumato molto suolo e si è continuato a costruire vicino ai canali. L’impermeabilizzazione del suolo rallenta o nei casi peggiori impedisce l’assorbimento dell’acqua nel terreno, facendola scorrere in superficie fino ai canali o ai fiumi, che si riempiono velocemente. Sempre più spesso possono esserci in contemporanea piene dei corsi d’acqua minori e dei fiumi dove i corsi d’acqua scaricano, e questo può mettere in crisi l’intero sistema idrografico.

Sempre a proposito degli interventi umani, anche se il collegamento tra i singoli eventi atmosferici intensi e il cambiamento climatico deve essere dimostrato da studi approfonditi, è assodato e noto che il cambiamento climatico causato dalle emissioni di gas serra legate alle attività umane è responsabile di un generale aumento degli eventi meteorologici estremi come alluvioni e siccità in molte parti del mondo, compresa l’Europa e il bacino del Mediterraneo.

A prescindere dai casi specifici, gli scienziati che si occupano di meteo, clima e dissesto idrogeologico in Italia sono concordi nel dire che bisognerebbe intervenire sull’adattamento ai cambiamenti climatici, e nello specifico alle precipitazioni intense che causano alluvioni, visto che si sa che sono rese più frequenti dalla crisi climatica e a maggior ragione nelle zone più a rischio.

Quando si parla di proteggere paesi o città dalle alluvioni non ci sono soluzioni semplici. In generale si parla spesso di opere strutturali, come le dighe e le casse di espansione, note anche come vasche di laminazione. Sono invasi costruiti per raccogliere l’acqua dai fiumi durante le piene. Si chiamano così perché di fatto sono un’espansione dei fiumi: quando il livello dell’acqua è sotto controllo, le casse di espansione rimangono vuote.

Negli ultimi due anni in Emilia-Romagna sono stati finanziati centinaia di progetti per costruire muri di contenimento e nuovi argini, allargare le vasche di laminazione o i canali, installare paratie per intercettare il materiale trasportato dai fiumi. Se negli ultimi due giorni gli argini hanno tenuto e non ci sono stati danni lo si deve anche a queste opere, che stanno funzionando.

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