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  • Mercoledì 24 dicembre 2025

Il blocco del petrolio venezuelano è un problema anche per Cuba

Le importazioni a basso costo sono una risorsa per le centrali elettriche dell'isola, dove l'economia è già in profonda crisi

Una strada dell'Avana durante un blackout nel settembre del 2025 (AP Photo/Ramon Espinosa)
Una strada dell'Avana durante un blackout nel settembre del 2025 (AP Photo/Ramon Espinosa)

Il blocco statunitense delle petroliere sottoposte a sanzioni che entrano ed escono dalle acque territoriali venezuelane potrebbe mettere in grande difficoltà non solo il Venezuela, ma anche Cuba, che da anni approfitta delle esportazioni venezuelane di petrolio a basso costo per sostenere il proprio fabbisogno energetico. È un altro colpo per l’economia dell’isola, che da anni sta attraversando una crisi profonda.

A Cuba il petrolio non serve solo per le auto e i mezzi agricoli, ma anche per alimentare le centrali elettriche e i generatori privati della popolazione, fondamentali per continuare ad avere corrente anche nei lunghi blackout che sull’isola sono ormai diventati la norma, e non un’eccezione. Il regime comunista di Cuba sta attraversando la peggiore crisi dalla rivoluzione di Fidel Castro, nel 1959: da anni mancano cibo e medicine, il sistema idrico funziona a singhiozzo, i rifiuti si accumulano per le strade, varie epidemie si diffondono (dengue, oropouche e chikungunya) e per giorni interi anche le maggiori città restano senza elettricità. Significa non solo stare al buio, ma anche al caldo, senza possibilità di usare condizionatori o ventilatori.

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Una coda per la benzina all’Avana nel 2024 (AP Photo/Ramon Espinosa)

I motivi della crisi energetica sono profondi e legati alla mancata manutenzione delle centrali e della rete elettrica. Una delle cause principali è l’enorme inefficienza del regime, ma pesa anche l’impossibilità di trovare pezzi di ricambio, bloccati dall’embargo statunitense in vigore da oltre sessant’anni. Questo ha reso ancora più necessario avere a disposizione il petrolio per alimentare le centrali e i generatori.

Dal 1999 una quota importante del petrolio necessario arriva a Cuba dal Venezuela. Il presidente venezuelano di allora, Hugo Chávez, sancì il legame fra i due paesi e avviò programmi che portarono in Venezuela dottori, infermieri, allenatori sportivi e responsabili dell’intelligence o semplici spie, in cambio di petrolio. Il petrolio veniva pagato in servizi, oppure veniva pagato a un prezzo decisamente inferiore a quello di mercato.

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Rifiuti nelle strade dell’Avana, a inizio dicembre (AP Photo/Ramon Espinosa)

Inizialmente il Venezuela inviava 100mila barili di petrolio al giorno a Cuba: quando è iniziata la crisi venezuelana, e soprattutto durante gli ultimi 12 anni di governo di Nicolás Maduro, le quantità si sono molto ridotte. Nel 2024 erano 32mila barili al giorno, da gennaio a novembre del 2025 sono stati 27mila: da allora le code ai distributori sono aumentate e alcune centrali hanno smesso di funzionare.

Le importazioni cubane di petrolio dal Venezuela valgono la metà del totale. Il resto arriva dalla Russia e dal Messico, che negli ultimi tempi ha a sua volta drasticamente ridotto le forniture, per rispondere a pressioni internazionali (perlopiù statunitensi), perché il regime cubano aveva accumulato grandi debiti e perché la produzione messicana è in calo. Il governo cubano non può cercare altri fornitori, in parte perché ha a disposizione poca valuta straniera, in parte per le limitazioni finanziarie causate dall’embargo statunitense. Estrae invece autonomamente una quantità ridotta di petrolio, definito “pesante”, che quindi ha bisogno di processi lunghi e costosi per essere raffinato.

Il presidente Miguel Díaz-Canel durante una manifestazione di sostegno al Venezuela a ottobre (AP Photo/Ramon Espinosa)

Il presidente cubano Miguel Díaz-Canel ha condannato il blocco delle petroliere da parte degli Stati Uniti, parlando di «atti di pirateria» e di un comportamento di Trump da «volgare ladro». Il regime cubano ha sempre sostenuto Maduro nel mantenimento del potere: agenti cubani si occupano della sicurezza personale del presidente venezuelano, con particolare attenzione ora che l’amministrazione statunitense di Trump lavora apertamente per sovvertire il regime e ha autorizzato operazioni segrete nel paese.

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Un prolungato blocco navale delle petroliere da parte degli Stati Uniti o la sostituzione del regime di Maduro con un governo ostile a Cuba potrebbe causare il definitivo collasso dell’economia cubana. Già oggi il paese è in condizioni più gravi rispetto al momento finora peggiore della sua storia, il cosiddetto “periodo speciale”, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991. Quasi il 90 per cento dei cubani vive in condizioni di povertà e il 70 per cento salta almeno un pasto al giorno.

Dal 2018 l’economia del paese si è contratta del 15 per cento, l’inflazione e la perdita di valore della valuta locale (ora servono 450 pesos per un dollaro, nel 2020 erano 30) ha reso impossibile sopravvivere con i salari statali. Con il crollo del turismo la principale fonte di reddito per i cubani sono le rimesse dall’estero: più di 2,7 milioni di cubani, perlopiù giovani, sono emigrati dal 2020. Sono un quarto della popolazione, è un esodo che ha cambiato Cuba e che mette in dubbio la sua sopravvivenza in futuro.

In questo contesto, il solo petrolio venezuelano non è ovviamente sufficiente a risolvere i problemi di approvvigionamento energetico dell’isola. Ma senza quel petrolio, le risorse diventerebbero ancora più scarse e la crisi più profonda.

Da qualche anno la Cina sta diventando il principale partner economico del paese. Gli investimenti cinesi per esempio hanno permesso la costruzione di 55 “parchi solari” (impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica), e altri 38 sono in programma entro il 2028, ma non sono comunque sufficienti a sostituire le vecchie centrali a petrolio.