Sulla manovra quest’anno c’è ancora più caos del solito

Dopo due mesi di discussioni, nel giro di una settimana la legge di bilancio è stata riscritta due volte dal governo, tra litigi interni alla maggioranza

Giorgia Meloni durante le comunicazioni in vista del Consiglio Europeo al Senato, il 17 dicembre 2025, con il ministro per i Rapporti col parlamento Luca Ciriani (Mauro Scrobogna/LaPresse)
Giorgia Meloni durante le comunicazioni in vista del Consiglio Europeo al Senato, il 17 dicembre 2025, con il ministro per i Rapporti col parlamento Luca Ciriani (Mauro Scrobogna/LaPresse)

Prima che iniziasse il percorso di approvazione della legge di bilancio, il governo aveva fissato il 15 dicembre come prima data utile per far arrivare il provvedimento in aula del Senato. Siamo al weekend del 20, e la commissione bilancio del Senato ha cominciato adesso i lavori: vuol dire che la legge non arriverà in aula prima del 22, per poi passare alla Camera entro il 30 dicembre, a due giorni dalla scadenza finale. Se la legge non viene approvata entro il 31, infatti, entra in vigore l’esercizio provvisorio, un regime in cui non si possono decidere nuove spese ma se ne possono autorizzare solo alcune basate sul bilancio dell’anno precedente.

Questo è ancora uno scenario poco plausibile, ma erano diversi anni che l’Italia non ci andava così vicino.

Il ritardo di quest’anno è notevole anche per gli standard abituali. C’è sempre un po’ di affanno nell’approvazione della manovra finanziaria, visto che è il provvedimento con cui il governo stabilisce come spenderà i soldi nell’anno successivo: i partiti cercano sempre di spuntare misure a favore loro e dei loro elettorati di riferimento, tra baruffe e litigi anche interni alle maggioranze parlamentari. Quest’anno, però, il caos è stato ancora maggiore del solito, soprattutto negli ultimi giorni.

Si può dire che la ragione principale degli ultimi ritardi sia dovuta al fatto che la manovra, fino a poco tempo fa, mancava di misure per le imprese e per la crescita. Per rimediare il governo aveva fatto una cosa molto irrituale, aveva cioè riscritto la manovra con un “maxi-emendamento” alla legge in discussione, portandola da 18,7 miliardi di euro a 22,2, e trovando nuove coperture finanziarie per quei 3,5 miliardi in più.

Era un intervento notevole e irrituale: di solito il “maxi-emendamento” serve a integrare e riordinare i vari emendamenti proposti durante le discussioni in commissione, non a riscrivere l’intera legge. Domenica scorsa la presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva convocato una riunione con i leader della maggioranza, in cui il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti aveva illustrato il “maxi-emendamento”. Lì per lì non c’erano state grandi discussioni, ma poi durante la settimana si è capito più nel dettaglio come il governo intendeva finanziare quei 3,5 miliardi in più, ed è lì che è cominciato il caos.

I soldi arrivavano infatti da un intervento sulle pensioni: era stata aumentata la cosiddetta “finestra”, cioè quel periodo che i lavoratori devono attendere prima di poter effettivamente andare in pensione. Aumentandola di pochi mesi il governo stimava di spendere quasi 2 miliardi in meno nei prossimi dieci anni. Ma sul tema delle pensioni la Lega ha battagliato per anni, in particolare contro l’aumento dell’età pensionabile e contro la riforma Fornero. Perciò martedì il leader Matteo Salvini ha dato mandato a Claudio Borghi e Armando Siri, i suoi punti di riferimento nel partito per quanto riguarda l’economia, di fare pressione per annullare le modifiche inserite (modifiche che, va ricordato, erano state inserite da Giorgetti, anche lui leghista).

Una parte del maxi-emendamento è stata riscritta, anche per volere di Meloni. Il governo è tornato indietro sia sulla “finestra” per andare in pensione che su un’altra misura che serviva a fornire coperture finanziarie, cioè quella che rendeva meno conveniente il riscatto della laurea, nonostante le migliaia di euro spesi per farsi riconoscere gli anni di università. Visto che però togliendo queste misure si tolgono anche i miliardi che facevano risparmiare, Giorgetti è stato costretto a eliminare le agevolazioni fiscali alle imprese, che riguardavano in particolare la Zona economica speciale del Sud, Transizione 5.0 e un fondo per mitigare i rincari dei materiali di costruzione negli appalti pubblici.

Questo ha generato ulteriori liti e discussioni. Tornata da Bruxelles dove stava partecipando al Consiglio Europeo, e visto che ritiene molto importanti le misure per le imprese, Meloni ha chiesto di rimetterle nella manovra. E quindi è ricominciato tutto da capo, perché bisognava di nuovo trovare le coperture per finanziare quelle misure che erano state tolte su pressione della Lega (circa 2 miliardi). Nel tardo pomeriggio di venerdì sono stati sospesi i lavori della commissione bilancio del Senato e Meloni ha convocato una nuova riunione a Palazzo Chigi, a cui hanno partecipato Salvini, il ministro per i Rapporti col parlamento Luca Ciriani e il leader di Forza Italia Antonio Tajani. Ciriani ha proposto di tenere le misure per le imprese fuori dalla manovra, e metterle invece in un decreto a parte da approvare nelle prossime settimane. Meloni si è opposta.

Sabato mattina infine è stato presentato un nuovo “maxi-emendamento”. Le misure per le imprese ci sono, finanziate portando i fondi per la casa da 300 milioni a 200, e soprattutto togliendo una misura introdotta l’anno scorso, con la quale si poteva andare in pensione in anticipo usando i soldi dei fondi pensione complementari: così il governo riuscirebbe a risparmiare decine di milioni di euro all’anno per dieci anni, fino a un massimo di 130 milioni nel 2035. I lavori in commissione intanto sono ripresi, l’obiettivo è di completarli e iniziare la discussione in aula tra lunedì e martedì.