Si può rendere una città più sicura incentivando la vita notturna?
Bolzano e altre città ci stanno provando; potrebbe sembrare un controsenso ma non lo è

A Bolzano l’amministrazione vuole rendere la città più sicura aumentando la vita notturna. È l’opposto di quello che fanno di solito altre città italiane, dove sempre per ragioni di sicurezza si cerca di contenere la cosiddetta “movida” con limitazioni e divieti. Il problema di Bolzano, infatti, è che dopo una certa ora le strade si svuotano e gli spazi deserti diventano facilmente insicuri. È un approccio che mette in discussione la convinzione comune per cui la vita notturna sarebbe in contrasto con la sicurezza, e anzi a certe condizioni la considera un presidio. Lo adottano sempre più città, che stanno organizzando politiche di gestione della vita notturna mirate a questo scopo.
Il progetto di Bolzano si chiama “Economia della notte” e consiste in una collaborazione tra il comune e l’università per migliorare la qualità di servizi offerti nelle ore serali e notturne: aumentare i locali, gli eventi e i luoghi di ritrovo, allungare gli orari di servizio del trasporto pubblico, degli uffici pubblici e delle attività private. Lo ha promosso una giunta di centrodestra, ma affronta un tema condiviso anche dall’opposizione (in passato i Verdi avevano fatto approvare una mozione proprio sulla vita notturna di Bolzano). «Da noi i negozi chiudono alle 18:00», dice il sindaco Claudio Corrarati, «e dalle 20:00 la città si svuota. Molti cittadini hanno paura di uscire dopo quell’ora perché il buio e le zone non occupate creano senso di insicurezza».
Non è solo una percezione: Stefania Baroncelli, consigliera comunale dell’opposizione (è del PD) e professoressa dell’università di Bolzano coinvolta nel progetto, conferma che le aree della città più attive sono tendenzialmente anche le più sicure. Un esempio, dice, è WaltherPark, un’area vicino alla stazione che dopo essere stata riqualificata per ospitare un centro commerciale, uffici, appartamenti e ristoranti, è più frequentata ed è migliorata anche dal punto di vista della sicurezza (e della percezione che le persone ne hanno).
La mancanza di vita notturna a Bolzano crea anche altri problemi. Dice Matthias Cologna, consigliere comunale 33enne del partito Team K, di opposizione: «Manca una cultura dell’essere giovane a Bolzano: molti ragazzi tra i 20 e i 35 anni se ne vanno anche perché non c’è un’offerta culturale e di intrattenimento soddisfacente». Anche secondo Zeno Oberkofler, consigliere 28enne dei Verdi, manca un’integrazione tra la vita della città e quella dei giovani, soprattutto degli studenti dell’università.
La prima fase del progetto prevede di documentare la vita notturna attuale di Bolzano: quali sono i quartieri più attivi, quali negozi o locali ci sono, quanto restano aperti, quali sono i mezzi di trasporto disponibili da una certa ora. Poi ci sarà un confronto con la popolazione e le istituzioni (artisti, gestori di locali, lavoratori notturni, associazioni giovanili, forze dell’ordine) per progettare insieme misure concrete che l’amministrazione potrà realizzare. «Forse», dice il sindaco, «ci siamo chiusi troppo dentro le nostre case e dobbiamo tornare a occupare gli spazi della nostra città».
Il problema di Bolzano sembra abbastanza peculiare, e in effetti lo è se si considera che riguarda un’intera città. In realtà, però, non è molto diverso da quello che succede anche altrove in tanti quartieri periferici, tendenzialmente poco frequentati di notte e anche per questo percepiti come più pericolosi.
In molti casi per gestire l’ordine pubblico nelle ore notturne le amministrazioni impiegano più agenti delle forze dell’ordine. Lo fanno per presidiare le zone meno vivaci, ma anche nelle situazioni con il problema opposto, cioè nei quartieri dove la vita notturna raggiunge più facilmente eccessi fastidiosi o pericolosi. Un caso recente tra i più eclatanti è Palermo, dove sono stati intensificati i controlli della polizia dopo che un uomo di 21 anni, Paolo Taormina, era stato ucciso mentre cercava di fermare una rissa fuori da un locale del centro.

Corso Sempione, Milano, 26 ottobre 2020 (Getty Images/Pier Marco Tacca)
Altri esempi di un approccio repressivo sono limitazioni e divieti. Per esempio lo scorso agosto il sindaco di Casal di Principe, in provincia di Caserta, ha imposto che per motivi di sicurezza i minori di 14 anni non possano stare fuori di casa dopo la mezzanotte se non sono accompagnati da un adulto. I comuni e i condomini stabiliscono spesso anche altri divieti per tutelare la quiete pubblica, imponendo fasce orarie e limiti di decibel per schiamazzi e musica. Solo qualche giorno fa il comune di Milano è stato condannato a risarcire con un totale di 250mila euro i residenti di alcune vie nel quartiere di Porta Venezia per il troppo rumore.
Sono interventi regolativi in alcuni casi necessari, ma dietro ai quali spesso manca una progettazione della vita notturna con politiche e interventi strutturati: la sta provando a sviluppare Cities after dark, un progetto creato nel 2023 e finanziato dall’Unione Europea, grazie al quale i rappresentanti di nove città si riuniscono periodicamente per scambiarsi consigli e buone pratiche sulla gestione della vita notturna. Ne fanno parte alcune capitali come Parigi, Tallinn (in Estonia) e Nicosia (a Cipro), oltre a Genova, dove lo scorso luglio si è tenuto l’ultimo incontro.
Simone D’Antonio, esperto di politiche della notte e responsabile del progetto, dice che spesso «la somministrazione di alcolici nei locali è più sicura rispetto al consumo sregolato che avviene fuori o negli appartamenti privati». Da qui la decisione, in alcuni casi, di incentivarla: Parigi per esempio ha erogato sussidi per l’insonorizzazione dei locali. Tallinn, invece, ha concesso la possibilità di vendere alcolici anche oltre gli orari limite stabiliti per legge ai locali che garantiscono una programmazione minima di eventi musicali e culturali, in modo da incentivare una vita notturna più varia.

Parigi, 10 novembre 2019 (Getty Images/Robert Nickelsberg)
D’Antonio dice che l’offerta serale di una città non dovrebbe comporsi solo di locali, ma anche di luoghi pubblici accessibili dove può riunirsi, socializzare e divertirsi anche chi non può permettersi di spendere soldi per una o più consumazioni.
Quando si parla di vita notturna, poi, spesso ci si dimentica che non riguarda solo le persone in cerca di intrattenimento, ma anche tutte le altre a cui può capitare di spostarsi in orari serali, per esempio per lavoro. Anche loro avrebbero giovamento da politiche più organizzate in questo senso, tra le quali ci potrebbero essere interventi mirati per far sentire le donne più sicure, per fare un altro esempio.
Negli ultimi anni alcune città si sono dotate del cosiddetto “sindaco della notte”, un intermediario tra la gestione della vita notturna e l’amministrazione, che ha il compito di fare gli interessi di chi la sera vorrebbe dormire, divertirsi o lavorare. Di solito questo ruolo viene affidato a una persona riconosciuta nel settore culturale della città, tipo un dj. A Londra la prima sindaca della notte (lì lo chiamano night czar) è stata Amy Lamé, presentatrice radiofonica e televisiva, scrittrice e co-fondatrice di un collettivo queer che organizza spettacoli nei club londinesi.
La figura del sindaco della notte venne creata ad Amsterdam nel 2012, oggi l’hanno introdotta decine di città. In Italia la prima è stata Trento, nel 2021, seguita da Bari nel 2024: in entrambi i casi sono consiglieri comunali con deleghe alla gestione della vita notturna. Anche a Bologna la vicesindaca Emily Clancy ha una delega all’Economia della notte. Altrove, invece, ci sono organi collegiali: a Parigi per esempio esiste il Consiglio della notte, che riunisce comune, prefettura, associazioni, ricercatori, artisti e un piccolo gruppo di cittadini chiamato Comitato dei nottambuli.



