Le molte questioni intorno all’accordo col Mercosur
Cosa comporta, quali sono i dubbi di Italia e Francia, perché il presidente brasiliano minaccia di tirarsi indietro e perché se ne parla ora

Al Consiglio Europeo in corso a Bruxelles, cioè la riunione dei capi di Stato e di governo dei paesi membri dell’Unione Europea, uno dei temi più importanti di cui si discute è l’accordo di libero scambio con il Mercosur, il mercato comune sudamericano di cui sono membri Argentina, Bolivia, Brasile, Paraguay e Uruguay. L’accordo è il più grande di questo tipo mai fatto dall’Unione in termini di popolazioni coinvolte e volume di scambi, ma è malvisto da vari Stati europei, tra cui la Francia e l’Italia, che temono possa danneggiare i propri settori agricoli: a Bruxelles c’è per questo una grossa manifestazione di protesta con i trattori a cui stanno partecipando agricoltori, allevatori e associazioni di settore europee.
L’accordo era già stato firmato un anno fa, ma per entrare in vigore è necessario il voto favorevole del Consiglio Europeo, appunto. Francia e Italia vorrebbero rimandare il voto, ma la Danimarca, che è il presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea, vorrebbe ottenere l’assenso dei leader prima del viaggio di Ursula von der Leyen in Brasile, previsto il prossimo 20 dicembre. In serata Politico, citando alcune fonti diplomatiche, ha scritto che Ursula von der Leyen ha annunciato il rinvio a gennaio della firma. Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva (noto semplicemente come Lula) avrebbe accettato la richiesta della presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni di posticipare la firma, per darle il tempo di rassicurare gli agricoltori italiani sul fatto che non saranno danneggiati dalla concorrenza.
Poco prima del posticipo il presidente brasiliano Lula aveva però detto che se non si fosse votato l’accordo, il Brasile si sarebbe tirato indietro e non avrebbe favorito nessun altro accordo: «Attendiamo questo accordo da 26 anni, accordo che favorisce più loro che noi», ha detto. «Macron [il presidente francese, ndr] non lo vuole per via dei suoi agricoltori, l’Italia non lo vuole non so nemmeno per quale motivo». Il lavoro diplomatico sull’accordo va avanti da anni, e i paesi sudamericani sono logorati dall’attesa di un’intesa che considerano vantaggiosa soprattutto per gli europei: il timore è che l’ulteriore rinvio possa far saltare definitivamente il banco.
È vero che dell’accordo tra Unione Europea e Mercosur si parla da oltre vent’anni. I negoziati sono iniziati nel 2000, sono stati lunghi e complessi, e hanno dovuto tenere conto delle obiezioni e dei veti sia dei paesi europei sia di quelli sudamericani. L’obiettivo generale del trattato è favorire gli scambi commerciali tra i due mercati: l’accordo è molto ampio, ma uno degli aspetti più importanti è l’eliminazione graduale di quasi tutti i dazi doganali applicati fra i due blocchi e di parte delle differenze normative, che sono nei fatti un ostacolo al commercio alla pari dei dazi.
L’accordo favorirebbe così gli scambi in molti settori. Da una parte l’Unione è interessata alla possibilità di accedere a condizioni migliori a un mercato potenzialmente enorme (tutti i paesi del Mercosur contano circa 280 milioni di abitanti), e di aumentare così le esportazioni di prodotti su cui finora sono stati applicati dazi elevati, come le automobili, l’abbigliamento e il vino. Vuole anche assicurarsi l’approvvigionamento di materie prime sempre più necessarie come il litio, di cui il Sud America è ricco.
L’accordo ha anche l’obiettivo di agevolare gli investimenti delle imprese europee nel Sud America, e viceversa. Ma al di là della dimensione economica, c’è poi un aspetto politico importante: infatti è anche uno strumento per rafforzare il legame diplomatico tra l’Unione Europea e il Sud America in un momento in cui molti paesi di quell’area sono attratti più o meno direttamente dalla Cina.
Dal lato loro, i paesi del Mercosur sperano di aumentare le esportazioni dei loro prodotti alimentari verso l’Unione, e sono proprio queste merci a destare le maggiori preoccupazioni tra i paesi europei.
È vero che da una parte, con l’accordo, sarebbero riconosciute più di 300 indicazioni geografiche europee di prodotti alimentari (le IGP), il che le proteggerebbe da copie e imitazioni. Ma dall’altra gli agricoltori e gli allevatori europei sostengono che soprattutto nel settore della carne i paesi del Mercosur potrebbero fare concorrenza sleale, perché si possono permettere di produrla a prezzi più bassi dato che non sono vincolati ai rigidi standard sanitari e ambientali dell’Unione.
Sebbene nel complesso gran parte degli studi sia concorde nel dire che a livello economico l’accordo è molto favorevole, i dubbi degli agricoltori sono in parte fondati. Per esempio, una relazione della Commissione Europea ha concluso che il Brasile, che è il principale esportatore di carne bovina al mondo, non riuscirebbe a garantire che agli animali non venga somministrato l’estradiolo, un ormone della crescita vietato in Europa decenni fa ma ancora molto utilizzato in Brasile.
Dal punto di vista ambientale un’indagine commissionata dal governo francese aveva concluso che l’accordo rischia di portare a un’accelerazione della deforestazione nei paesi del Mercosur: specialmente in Brasile le attività di deforestazione non autorizzate sono usate per creare più spazio per gli allevamenti intensivi e le coltivazioni, che potrebbero aumentare dopo l’entrata in vigore dell’accordo.
D’accordo con gli agricoltori è soprattutto il governo francese. La Francia però è anche l’unico grande paese europeo a opporsi in maniera decisa e palese. Tra quelli più piccoli sono contrarie Polonia e Ungheria. La Germania invece è molto favorevole, perché spera che l’accordo aiuti a sbloccare l’attuale grave crisi del settore automobilistico; tra i favorevoli ci sono anche la Spagna e i paesi del Nord Europa. L’Italia ha mantenuto una posizione ambigua, non opponendosi ma chiedendo allo stesso tempo maggiori garanzie per gli agricoltori, assecondando così i timori delle associazioni nazionali, come l’influente Coldiretti. Tra gli incerti ci sono anche Austria e Irlanda.

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni mentre parla con il presidente francese Emmanuel Macron al Consiglio Europeo a Bruxelles, il 18 dicembre (Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse)
Le soglie e le regole per far entrare in vigore l’accordo sono piuttosto arzigogolate: serve l’approvazione del Consiglio Europeo a maggioranza qualificata, cioè devono votare a favore almeno 15 Stati membri che rappresentino almeno il 65 per cento della popolazione europea. Ma serve anche che non si formi una cosiddetta “minoranza di blocco”, cioè un gruppo di quattro paesi contrari che rappresentino almeno il 35 per cento della popolazione europea.
Proprio per tutelare gli agricoltori e andare incontro ai paesi contrari, mercoledì l’Unione ha approvato alcune clausole di salvaguardia aggiuntive. Prevedono la reintroduzione dei dazi doganali qualora le importazioni di pollame e carne bovina latinoamericani destabilizzassero i mercati europei. Non c’è stato invece modo di includere una sorta di “obbligo di reciprocità”, una cosa che chiedono da tempo Francia e Italia e che obbligherebbe i paesi del Mercosur a rispettare gli standard europei di produzione alimentare in cambio dell’accesso al mercato. Secondo la Commissione Europea, a capo delle negoziazioni, non c’è possibilità di farla accettare ai paesi sudamericani.
Non è chiaro se questo basterà a superare la contrarietà dei paesi che non vogliono l’accordo, soprattutto Francia e Italia, che sono anche quelli più influenti visto il sistema di voto. Nel Consiglio Europeo di questi giorni sia il presidente francese Emmanuel Macron che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni sostengono che il voto sull’accordo vada in ogni caso rimandato. «Questo accordo non può essere firmato», ha detto Macron arrivando al Consiglio Europeo. Meloni ha detto che l’Italia non è contraria in linea di principio all’accordo, ma che chiede l’obbligo di reciprocità a tutela degli standard europei. In una nota ha detto di aver parlato con il presidente brasiliano Lula e di averlo rassicurato sul fatto che serve solo più tempo (una vera scadenza per questo voto non c’è).



