L’apice della carriera di Rob Reiner

Fu “Codice d’onore”, del 1992: l’ultimo film di una serie di enorme successo e quello che lo racconta meglio

Tom Cruise e Rob Reiner sul set di Codice d'onore, 1992. (Columbia Pictures/Getty Images)
Tom Cruise e Rob Reiner sul set di Codice d'onore, 1992. (Columbia Pictures/Getty Images)
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Il regista Rob Reiner, trovato morto in casa insieme alla moglie Michele Singer, non è noto come altri grandi nomi del cinema americano, ma tra il 1986 e il 1992 diresse cinque film diventati celebri: Stand by Me, La storia fantastica, Harry, ti presento Sally…, Misery non deve morire e Codice d’onore. Nonostante una serie di successi di questo tipo, così lunga e concentrata, sia ancora oggi molto rara, non bastò a procurargli nessuno dei premi più importanti di Hollywood.

La volta che ci andò più vicino fu con Codice d’onore, l’apice di quella sequenza di grandi successi e il suo film più ambizioso di quel periodo. Quella volta Reiner era anche produttore e fu quindi candidato all’Oscar per il miglior film. Il film però non vinse né quello né gli altri Oscar a cui era stato candidato, e fu battuto quasi in tutte le categorie da Gli spietati. Resta comunque il suo film più riuscito e un buon esempio dei suoi più apprezzati talenti: nel lavoro con gli attori e nell’adattamento delle sceneggiature.

Codice d’onore è un legal drama con Tom Cruise e Jack Nicholson. Racconta la storia di un gruppo avvocati dell’esercito che assumono la difesa in un processo per la morte di un marine nella base militare statunitense di Guantanamo. Gli accusati sono i due marine che hanno materialmente ucciso la vittima ma gli avvocati scoprono che i due avevano ricevuto l’ordine dal potente colonnello a capo della base, e decidono di far emergere la verità nonostante il rischio di sfidare un uomo così potente. È una storia fatta di dialoghi: nella prima parte si racconta dell’indagine, e nella seconda si prepara e si mette in atto il grande confronto in aula con il colonnello.

Fu la prima sceneggiatura per il cinema di uno dei più grandi sceneggiatori in attività a Hollywood, Aaron Sorkin, che poi tra le molte cose avrebbe scritto anche le serie The West Wing e The Newsroom e il film The Social Network. In origine era un dramma teatrale dello stesso Sorkin che si basava sulla vera storia di un pestaggio di un marine accusato di aver fatto la spia, e in particolare di uno degli aggressori, assolto e poi congedato con onore. È esattamente il tipo di storia che Sorkin ha spesso raccontato, su come il sistema americano sia una macchina caotica che può produrre risultati eccezionali, e come il potere sia al tempo stesso fonte di perfidia ma anche di giustizia.

Nel 1992, quando uscì, Rob Reiner era un regista di successo che aveva appena cambiato reputazione: dopo diverse commedie aveva girato un film di tensione tratto da un racconto di Stephen King, Misery non deve morire, considerato uno dei migliori del suo anno e forse della sua decade. Per Codice d’onore non solo gli fu concesso un buon budget ma la sceneggiatura era così buona da riuscire a coinvolgere alcuni degli attori più importanti di quel periodo. Oltre a Tom Cruise e Jack Nicholson, tra i più rappresentativi delle loro generazioni, recitavano come co-protagonisti alcuni attori che in quel momento facevano già film da protagonisti, come Demi Moore (che era già stata in Ghost), Kevin Bacon e Kiefer Sutherland.

Cruise ebbe la parte dell’avvocato della difesa, il vero protagonista. Per lui era un periodo di grande ascesa, non solo commerciale. Top Gun lo aveva reso un divo sei anni prima, ma dopo quello aveva girato film molto importanti come Il colore dei soldi e Rain Man ed era stato candidato all’Oscar come miglior attore protagonista per Nato il quattro luglio. Era anche il primo periodo del suo coinvolgimento nella chiesa di Scientology e quindi di grande fervore. È noto che per la scena più importante, quella dell’interrogatorio in tribunale, si ispirò all’allora capo di Scientology David Miscavige (l’uomo che l’aveva coinvolto) e che cercò di imporre a Reiner l’uso di una tecnologia di registrazione del suono inventata da Scientology, chiamata ClearSound, senza successo (ci sarebbe riuscito nel film in cui recitò subito dopo, Cuori ribelli).

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Nicholson invece era in quel momento considerato uno dei più grandi attori di sempre, ma passato a un altro tipo di cinema. Aveva girato commedie e film leggeri, ed era stato Joker in Batman di Tim Burton. Quel film, quel ruolo e il modo in cui Rob Reiner fece in modo che le sue scene risultassero le più memorabili di tutto il film, nonostante avesse meno battute e meno minuti sullo schermo di molti altri, gli diedero una seconda carriera. Cinque anni dopo vinse il suo terzo Oscar con Qualcosa è cambiato.

Reiner è sempre stato un regista di attori, cioè molto bravo a fare in modo che gli attori e le attrici dessero il meglio. Sia Harry, ti presento Sally… che Misery non deve morire sono tra i film più importanti dei loro protagonisti, e quella in Codice d’onore è considerata una delle tre o quattro interpretazioni più importanti in una carriera sontuosa come quella di Jack Nicholson.

Ma è stato anche un regista dal grande intuito per la narrazione. Nonostante non sia accreditato come sceneggiatore, ha spesso raccontato come lavorò insieme a Sorkin per aggiustare la sceneggiatura di Codice d’onore, individuando e riparando diversi piccoli buchi o migliorando alcune parti, in modo che fossero più chiare e sensate. Il risultato fu così buono e migliore dell’originale che Sorkin cambiò il suo testo teatrale per farlo somigliare al film che ne aveva tratto. Una cosa mai successa prima.

Con Codice d’onore finì la parte di successo della carriera di Rob Reiner, da quel momento i suoi film furono meno ambiziosi e anche di minore incasso, ma ne iniziò un’altra. Tra le molte cose infatti Codice d’onore fu anche il suo primo film in cui traspariva una coscienza politica che sarebbe diventata per lui sempre più importante. Due anni dopo girò Il presidente – Una storia d’amore con Michael Douglas nella parte del presidente degli Stati Uniti, che anche più di Codice d’onore rappresentò una svolta verso un cinema più politicamente militante.

Reiner è sempre stato un Democratico e il suo crescente impegno politico, anche fuori dal cinema, lo portò ad alternare commedie e film leggeri di successo minore rispetto al passato a film con al centro questioni politiche come L’agguato (sul razzismo), Being Charlie (che racconta l’intreccio familiare di politica e interessi personali), LBJ (sull’ex presidente Lyndon Johnson), Attacco alla verità (su dei giornalisti che indagano le motivazioni dell’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003) e a produrre l’anno scorso God & Country, un documentario sui modi in cui il nazionalismo cristiano distorce la Costituzione americana.