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  • Domenica 14 dicembre 2025

Il Cile vuole cambiare ancora, e Antonio Kast non fa più paura

Al ballottaggio delle presidenziali è favorito il candidato di estrema destra che perse quattro anni fa, noto anche per la sua vicinanza alla dittatura

José Antonio Kast e Jeannette Jara dopo l'ultimo confronto televisivo, il 9 dicembre 2025 (AP Photo/Esteban Felix)
José Antonio Kast e Jeannette Jara dopo l'ultimo confronto televisivo, il 9 dicembre 2025 (AP Photo/Esteban Felix)
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Domenica quasi 16 milioni di cileni voteranno per decidere la o il prossimo presidente del paese, che a marzo succederà a Gabriel Boric. Al ballottaggio sono arrivati due candidati molto lontani politicamente: la comunista Jeannette Jara e il leader dell’estrema destra José Antonio Kast, che i sondaggi indicano come favorito.

Kast si era già candidato alle presidenziali quattro anni fa, ma fu battuto da Boric al ballottaggio. Ha un passato e una famiglia problematici: il padre era iscritto al partito nazista in Germania, mentre il fratello fu ministro e direttore della Banca Centrale durante la dittatura del generale Augusto Pinochet. Jara invece è stata ministra del Lavoro ed è la candidata della continuità con il governo uscente, che è piuttosto impopolare. È anche un’esponente del partito Comunista, cosa che ancora rappresenta un tabù in Cile. Guardando i sondaggi, tra gli elettori il passato recente di Jara sembra pesare più delle posizioni revisioniste sulla dittatura di Kast.

Va detto che al primo turno i sondaggi non si sono dimostrati completamente affidabili, tanto da aver ampiamente sottostimato il terzo arrivato Franco Parisi, un populista che ha raccolto quasi il 20 per cento dei voti. Il voto obbligatorio (pena una multa) porta ai seggi anche un’ampia porzione di persone poco interessate alla politica, rendendo le elezioni piuttosto imprevedibili. Se Kast perdesse però sarebbe una grossa sorpresa. Al primo turno Jara ha preso il 27 per cento dei voti, Kast il 24, ma dovrebbe ottenere facilmente l’appoggio degli altri due candidati delle destre, la più moderata Evelyn Matthei (12 per cento), e l’estremista Johannes Kaiser (14 per cento).

José Antonio Kast, del partito Repubblicano, durante un comizio a Temuco, in Cile, l’11 dicembre 2025 (AP Photo/Esteban Felix)

Rispetto a quattro anni fa sono cambiati i temi al centro del dibattito: allora erano i diritti delle minoranze, l’equità sociale, le pensioni e la sanità, oggi sono principalmente la sicurezza, la lotta alla criminalità, l’immigrazione e lo sviluppo economico. Questioni che sono state al centro della campagna di Kast, che invece si è tenuto visibilmente alla larga da quelle su cui le sue posizioni possono risultare più impopolari, come la sua contrarietà totale all’aborto e ai matrimoni omosessuali o le proposte di amnistia per le persone condannate per i crimini della dittatura. Nel 2021 queste idee, nonché la rivelazione da parte di Associated Press dell’arruolamento del padre nel partito nazista nel 1942, provocarono una mobilitazione contro Kast che favorì Boric.

Come ha scritto Patricio Fernández sul quotidiano spagnolo El País, dal 2010 in Cile in tutte le elezioni con una scelta binaria (fra due candidati, o con un sì o un no) ha sempre vinto la «posizione reattiva»: «Da quasi quindici anni il paese non vota a favore di qualcosa, ma contro qualcosa». Andarono così anche i due referendum per l’approvazione di una nuova Costituzione, una molto di sinistra, una molto di destra, entrambe respinte. Da vent’anni le elezioni presidenziali sono vinte dal candidato di segno opposto a quello uscente: da destra a sinistra, da sinistra a destra. Una tendenza che ha anche un nome, il “pendolo cileno” e che evidenzia una generale insoddisfazione per la politica.

In questa occasione a essere rifiutato sarebbe il governo uscente, di sinistra. Nel 2021 era stato accolto con grandi aspettative per via della giovane età di Boric (che aveva 35 anni), per la spinta delle proteste del 2019, note come estallido social, e per un programma ambizioso di riforme. È opinione piuttosto diffusa nell’elettorato cileno che gran parte di quelle attese siano state deluse, anche se per tutta la campagna elettorale Jara ha cercato con qualche ragione di evidenziare i risultati ottenuti (per esempio la riforma delle pensioni e la riduzione dell’orario di lavoro settimanale) e la generale condizione non così catastrofica del paese, sia a livello di economia che di sicurezza.

La percezione degli elettori è però mediamente molto negativa, soprattutto sulla questione della criminalità: il Cile era uno dei paesi meno violenti dell’America Latina e lo è ancora, ma l’influenza di gruppi criminali transnazionali ha peggiorato la situazione e generato molte paure.

Jeannette Jara fra i suoi sostenitori a Santiago, il 3 dicembre 2025 (AP Photo/Esteban Félix)

Kast, fondatore e leader del partito Repubblicano, ha impostato la sua terza candidatura (nel 2017 non arrivò al ballottaggio) su questi temi, proponendo soluzioni radicali, promettendo l’espulsione immediata di oltre 300mila immigrati senza permesso di soggiorno, la costruzione di nuove carceri e di dare “mano libera” alla polizia. In economia sostiene un modello liberista: tagli alle tasse e alla spesa pubblica, con l’iniziativa privata al centro di tutto.

Media e politici di sinistra ricordano con frequenza come Kast sarebbe il primo presidente ad avere votato per il proseguimento della dittatura di Pinochet nel referendum del 1988 (in cui vinse il no, e dopo il quale iniziò la transizione verso la democrazia). Kast nelle precedenti campagne rivendicò i suoi legami con quel passato, sostenendo anche che se Pinochet fosse vivo avrebbe votato per lui. Negli ultimi mesi ha invece evitato l’argomento e ha puntato sulle relazioni personali con altri leader della destra mondiale, compresa l’italiana Giorgia Meloni.

Se i sondaggi si riveleranno affidabili e Kast vincerà, dovrà comunque governare relazionandosi con un parlamento in cui la maggioranza non è così netta: le elezioni si sono tenute insieme al primo turno delle presidenziali e al Senato c’è una sorta di pareggio fra destra e sinistra, mentre alla Camera Kast avrà bisogno dei voti anche degli esponenti più moderati della destra tradizionale, Chile Vamos. Dice di aver comunque preparato un piano per i primi tre mesi, Desafío 90 (Sfida 90, dove 90 sono i giorni), per «imprimere un cambiamento radicale» al paese, soprattutto nei campi in cui sarà possibile governare per decreto: l’esempio è quello di Donald Trump negli Stati Uniti e di Javier Milei in Argentina.