Anche le celebrità vogliono fare informazione

E in certi casi si stanno dotando di strutture simili a quelle delle redazioni, come hanno fatto Fedez e Fabrizio Corona

Davide Marra, Tommaso Ricciardelli e Fedez in un video di Pulp podcast (YouTube)
Davide Marra, Tommaso Ricciardelli e Fedez in un video di Pulp podcast (YouTube)

Negli ultimi anni sempre più creator e personaggi pubblici hanno avviato dei progetti editoriali personali come podcast o newsletter. Alcuni di questi, nati come estensioni del proprio “brand personale”, e quindi dedicati a contenuti vicini all’attività precedente della celebrità in questione, stanno crescendo a tal punto da diventare qualcos’altro: piccoli sistemi mediatici autonomi, con collaboratori, rubriche, redazioni, una struttura che somiglia sempre di più a quella dei media tradizionali e con l’obiettivo dichiarato di fare informazione, oltre che intrattenimento.

In Italia è successo soprattutto in due casi: Pulp del rapper Fedez e Falsissimo dell’ex paparazzo Fabrizio Corona, avviati più o meno contemporaneamente un anno fa, e diventati nel frattempo tra i format più seguiti e discussi di YouTube, che per questo genere di contenuti è la piattaforma di riferimento. In entrambi i casi i video superano abitualmente il mezzo milione di visualizzazioni.

Questo successo si spiega perché chi li crea è spesso già molto conosciuto, ha opinioni che interessano al suo pubblico di riferimento, e non essendo giornalista può permettersi approcci molto più spericolati, sensazionalistici e qualunquisti. Ma anche perché si inserisce in un fenomeno più ampio che sta riguardando i media, noto come unbundling, ovvero “spacchettamento”. La frammentazione dell’informazione ha portato molti conduttori, opinionisti e giornalisti a staccarsi dalle proprie testate per aprire progetti personali – podcast, newsletter, canali YouTube – costruiti intorno alla loro voce individuale.

È un fenomeno che durante e dopo la pandemia si è visto molto anche su Instagram, dove influencer grandi e piccoli hanno cominciato a creare regolarmente contenuti di commento su fatti di attualità, dando la percezione ai propri follower di poter rimanere informati sulle notizie principali anche solo seguendoli.

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Questo ha creato le condizioni per cui le “testate personali”, cioè le fonti di informazione legate a una persona riconoscibile, hanno oggi un loro spazio nel mercato delle news. Quello che sta riguardando alcune celebrità però è per certi versi un processo contrario: i creator più affermati stanno ricostruendo attorno a sé delle strutture più estese. «L’evoluzione del concetto oggi è orientata verso un nuovo ciclo di “bundling”», spiega Andrea Girolami, autore della newsletter Scrolling Infinito, dedicata alla comunicazione e ai media online. «Quando un progetto personale diventa molto ambizioso, la soluzione è ampliarlo: si lavora in più persone, si evitano i burnout, ma aumentano i costi e la complessità».

In Italia ci sono giornalisti anche molto famosi che si sono progressivamente sganciati dai media tradizionali, come l’editorialista Selvaggia Lucarelli, che dopo anni in televisione e nelle principali testate ha scelto di lanciare la sua newsletter Vale Tutto, con contenuti a pagamento, autori ospiti e podcast dedicati. Ma si stanno affacciando sul mercato dell’informazione – o più spesso dell’infotainment, il formato tipico delle Iene e di Striscia la Notizia – anche personaggi che, fino a poco tempo fa, non se ne erano mai occupati e che oggi ambiscono a costruire un loro spazio mediatico.

L’esempio di maggior successo mondiale è Joe Rogan, ex comico statunitense che più di dieci anni fa iniziò un podcast, The Joe Rogan Experience che nel tempo è diventato di fatto una fonte di informazione tra le più influenti al mondo, che peraltro ha contribuito spesso ad alimentare lo scetticismo sui vaccini, e ha ospitato mentitori conclamati come l’opinionista Alex Jones. Negli Stati Uniti ci sono diversi casi simili a quello di Rogan, ovvero di persone più o meno famose in un ambito che hanno poi scelto di aprire un podcast o una newsletter che fosse anche di informazione. Un altro esempio è il comico Theo Von: anche lui ha un podcast molto seguito.

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Insieme a questi modelli, a ispirare Fedez per Pulp Podcast sono stati i moltissimi creator che negli ultimi anni si sono costruiti un grande seguito con le dirette su Twitch: conversazioni o monologhi che dai temi più popolari sulla piattaforma, come i videogiochi e il collezionismo di carte, hanno iniziato a includere la cultura pop, l’attualità e la politica.

Ad affiancare Fedez in Pulp è non a caso Davide Marra, fondatore ed ex conduttore di Cerbero Podcast, uno dei casi di maggior successo di questo genere di canali. Con lui, Fedez ha spostato l’attenzione dall’intrattenimento e dal cazzeggio di Muschio Selvaggio, il podcast che conduceva in precedenza con Luis Sal, per provare a concentrarsi sull’approfondimento e sulla cronaca, per quanto con toni e approcci sempre vicini a quelli dell’infotainment televisivo o radiofonico.

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Negli ultimi mesi Pulp ha annunciato la creazione di una redazione composta da una decina di persone e con un direttore editoriale, Giuseppe Francaviglia, ovvero una figura che esiste all’interno dei giornali. C’è un direttore editoriale perché l’intenzione è quella di registrarsi al tribunale di Milano come testata giornalistica, una formalizzazione che serve soprattutto «ad avere tutele legali più nette (sul diritto di cronaca e critica) e a dotarsi di una deontologia più definita necessaria per fare approfondimento», spiega Francaviglia.

Cinque mesi fa è stato introdotto anche un programma di abbonamenti: uno da 2 euro al mese e uno da 6 euro. Oggi gli abbonati paganti dichiarati sono circa ottomila. Il pubblico di Pulp Podcast è giovane: le due principali fasce d’età sono quella compresa tra i 18 e i 24 anni e quella tra i 25 e i 35 anni. È abbastanza significativo sia perché sono le fasce meno raggiunte dall’informazione tradizionale, sia perché rispetto alla maggior parte dei podcast italiani il format di Pulp è meno conversazionale, come quello tipico dei podcast, e più televisivo, nonostante sia un linguaggio con cui i più giovani hanno meno familiarità.

Francaviglia dice che le vere influenze arrivano soprattutto dagli Stati Uniti: il “gonzo journalism” di Vice, provocatorio e molto personale, e l’approccio narrativo e visivo di Vox Media. È un riferimento che si riflette sulla struttura stessa di Pulp, che si è dotato di figure tipiche di una piccola redazione, come un inviato, Gabriele Bagnulo detto “il Gabbrone”, che realizza servizi sul campo; un esperto di mafia, Tommaso Ricciardelli, che produce contenuti dedicati; e un esperto di comunicazione politica, Domenico Delli Compagni.

Pulp Podcast tratta argomenti più vicini all’agenda dei quotidiani che non a quella dei social. Alcune puntate del podcast sono state dedicate a casi per cui esiste una grande letteratura complottista come la Loggia P2, la massoneria o i segreti del Vaticano. Ricorrono spesso tra gli argomenti i grandi casi di cronaca nera, come il Mostro di Firenze, e c’è spazio per vicende complesse e a lungo dibattute come il caso di Emanuela Orlandi. Ma spesso le puntate riguardano anche temi legati alla criminalità organizzata, coinvolgendo ospiti come magistrati o persone direttamente implicate nei casi, come Nino Mancini, collaboratore di giustizia ed ex componente della Banda della Magliana. Nel canale spin off Pulpland, invece, i video sono più brevi, a volte sono realizzati da inviati, e spesso sono disponibili per i soli abbonati.

Anche Fabrizio Corona, diventato famoso come paparazzo negli anni Duemila e coinvolto in note vicende giudiziarie negli anni Dieci, sta tentando una strada simile. Il suo caso è ancora più legato al personaggio: in Falsissimo, il suo programma su YouTube, è l’unico protagonista e l’unico volto inquadrato, salvo per alcune puntate dello spin off Corona on Air. Nella nuova struttura mediatica di Corona è incluso il sito di notizie Dillinger News, evidentemente ispirato al tabloid Dagospia sia nei contenuti sia nell’aspetto grafico.

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Falsissimo è composto da due formati principali: interviste – spesso realizzate con uno stile simile a quello delle Iene – e servizi più narrativi, accomunati da toni urlati, provocatori, perentori e qualunquisti. All’inizio si concentrava quasi esclusivamente su vicende di gossip, come la separazione tra Fedez e Chiara Ferragni, ma nel tempo si è occupato di temi più giornalistici come la separazione delle carriere dei magistrati, le inchieste sulle curve calcistiche e altri casi giudiziari.

La puntata recente di Corona sulla separazione delle carriere, con l’intervista al suo avvocato, ha superato le 130mila visualizzazioni, un numero notevole per un tema piuttosto tecnico. Ma il video più significativo per comprendere lo spostamento dal gossip all’attualità è quello che Corona ha realizzato per raccontare la crisi umanitaria a Gaza, andando addirittura di persona a Tel Aviv e Gerusalemme.

«Quando abbiamo deciso di creare il format televisivo Falsissimo lo abbiamo fatto perché vogliamo fare informazione, e visto il risultato che abbiamo raggiunto siamo diventati una fonte di informazione per una grande fetta di popolazione italiana» ha detto Corona presentando il servizio. Per questo, ha continuato, lui e la sua redazione hanno «l’obbligo» di far conoscere agli spettatori cosa succede «in questo cazzo di mondo nuovo governato da schifosi dittatori, di qua e di là». Per questo, ha detto, «abbiamo mosso il culo e abbiamo fatto un viaggio di tre giorni dormendo tre ore a notte». Il servizio di Corona consisteva essenzialmente di interviste fatte in Israele, e di una confusa ripresa fatta vicino alla recinzione della Striscia di Gaza.

La puntata su Gaza era comunque presentata da Corona con i toni di chi sta raccontando qualcosa che nessun altro vuole fare sapere. È un suo tormentone e la modalità con cui si approccia alla maggior parte dei temi: insiste molto sul possesso delle “carte” – documenti, testimonianze, atti giudiziari – e sulla possibilità di raccontare storie che, secondo lui, i media tradizionali hanno paura di trattare. Così come fanno Fedez e Davide Marra con Pulp, infatti, anche Corona insiste molto sul concetto di “esclusiva” e di “dirompenza” del suo canale di informazione. E anche Corona ha attivato un programma di abbonamenti mensili, integrato da sponsorizzazioni, per esempio con un centro medico.

Il tono di questi format, insieme ai frequenti richiami alla libertà d’informazione e all’idea di essere “scomodi”, ricorda altri programmi molto seguiti: su tutti La Zanzara, il talk radiofonico di Giuseppe Cruciani e David Parenzo trasmesso da Radio 24. Cruciani e Parenzo affrontano ogni giorno temi di attualità con ospiti e telefonate di ascoltatori abituali, spesso diventati personaggi riconoscibili del programma. La Zanzara ha un grande successo, soprattutto tra il pubblico maschile, per le libertà che si prende Cruciani, per i toni orgogliosamente offensivi e volgari, e per l’assenza di cautele quando si parla di temi delicati. Negli ultimi anni il programma ha iniziato anche a portare in teatro una versione dal vivo del format, ed è abitualmente in cima alle classifiche dei podcast più ascoltati sulle piattaforme.