Due mesi dopo l’inizio del cessate il fuoco, Israele continua ad attaccare Gaza
Sono state uccise quasi 400 persone palestinesi, mentre i negoziati per la seconda fase dell’accordo sono bloccati

Da quando è cominciato il cessate il fuoco tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza, esattamente due mesi fa, l’esercito israeliano ha ucciso almeno 386 persone, secondo le autorità palestinesi della Striscia (controllate da Hamas). I numeri sono ritenuti affidabili. Secondo l’ong Amnesty International, di questi 136 sono minori. I numeri delle persone uccise sono inferiori al periodo precedente al cessate il fuoco, quando in media l’esercito israeliano uccideva 90 palestinesi al giorno, ma mostrano come Israele stia continuando ad attaccare la Striscia di Gaza, in violazione degli accordi.
Le autorità palestinesi hanno rilevato in due mesi più di 700 violazioni. Circa tre quarti sono stati bombardamenti e attacchi con armi da fuoco da parte dell’esercito israeliano, ma ci sono state anche incursioni via terra. Israele continua inoltre a demolire case ed edifici, anche se in misura minore rispetto ai mesi precedenti. Alcuni bombardamenti israeliani degli ultimi due mesi sono stati particolarmente devastanti: tra gli altri quelli del 19 ottobre (45 persone uccise), del 29 ottobre (109 persone uccise) e del 19 novembre (21 persone uccise).
Ci sono poi stati casi in cui i palestinesi hanno accusato l’esercito israeliano di usare i cecchini per sparare ai civili, in alcune circostanze perché si avvicinano troppo alla cosiddetta “linea gialla”, la linea di demarcazione dietro la quale l’esercito si è ritirato.
Negli ultimi due mesi sono stati uccisi tre soldati israeliani in scontri armati con membri di Hamas.

Un mezzo militare israeliano al confine con Gaza, novembre 2025 (AP Photo/Ohad Zwigenberg)
Nemmeno gli accordi sugli aiuti umanitari sono stati rispettati. Secondo il piano di ottobre, con il cessate il fuoco Israele avrebbe dovuto consentire l’ingresso nella Striscia di almeno 600 camion di generi di prima necessità al giorno. In realtà in questi due mesi ne sono arrivati in media meno di 230 al giorno. È comunque un miglioramento rispetto a prima del cessate il fuoco, anche perché si sono ridotti i saccheggi e ora il grosso del cibo e degli altri beni arriva a destinazione, ma è comunque una quantità insufficiente per i bisogni della popolazione. I prezzi del cibo negli ultimi due mesi sono calati, ma sono ancora insostenibili per gran parte della popolazione palestinese.
Molte persone, soprattutto minori, continuano a soffrire di malnutrizione. Secondo gli ultimi dati raccolti dalle Nazioni Unite nel mese di ottobre, il primo del cessate il fuoco, circa 9mila bambini hanno avuto bisogno di cure per malnutrizione acuta.
La settimana scorsa peraltro Israele aveva annunciato che avrebbe aperto il varco di Rafah al confine con l’Egitto per il transito delle persone. Il varco però non è ancora stato aperto perché Israele vorrebbe fare uscire da Gaza le persone palestinesi, ma non consentire il loro rientro. L’Egitto si oppone, perché teme che questo sia un modo di espellere da Gaza parte degli abitanti, e chiede che il transito sia ripristinato in entrambi i sensi.
– Leggi anche: Come si fa a uscire dalla Striscia di Gaza

Volantini lanciati da un drone israeliano a Khan Yunis, che avvertono la popolazione di stare lontana dalla “linea gialla”, 20 ottobre 2025 (AP Photo/Jehad Alshrafi)
In questo contesto estremamente precario non è chiaro quando e se sarà possibile arrivare alla cosiddetta “fase due” degli accordi. In teoria alla “fase uno” – quella in corso ora, che prevede il cessate il fuoco e lo scambio di ostaggi e prigionieri – dovrebbe seguire una “fase due” che prevede la smilitarizzazione di Hamas, il ritiro completo degli israeliani dalla Striscia e il dispiegamento di una forza di peacekeeping internazionale.
In realtà questa “fase due” è ancora molto lontana, sia per colpa di Israele (che non vuole davvero ritirarsi dalla Striscia) sia per colpa di Hamas (che non vuole davvero smilitarizzarsi). Israele inoltre ha una convenienza a mantenere lo status quo: attualmente occupa il 58 per cento del territorio della Striscia di Gaza, quello che che si trova dietro la “linea gialla”. Questo territorio può fare da “zona cuscinetto” in cui l’esercito continua a operare liberamente, e comprende peraltro tutte le aree agricole più fertili della Striscia, mentre il resto della popolazione è concentrato in zone più desertiche o in mezzo a città quasi completamente distrutte.
Questa settimana il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, Eyal Zamir, ha detto che «la linea gialla è una nuova linea di confine, che serve da difesa avanzata per le nostre comunità e come linea di attività operativa». Zamir ha fatto capire in questo modo che Israele vorrebbe mantenere la sua presenza militare a Gaza, perché ritiene di poter usare il territorio occupato sia per difendersi da eventuali attacchi sia per controllare il resto della Striscia.
– Leggi anche: Quando inizia la prossima fase del piano per Gaza?



