La protesta dei lavoratori dell’ex Ilva di Genova è servita a qualcosa
Dopo cinque giorni di sciopero, il ministro Urso ha detto che c'è un piano per continuare la produzione

Venerdì, dopo cinque giorni di sciopero e proteste, i lavoratori dell’ex ILVA di Genova hanno interrotto le manifestazioni a Cornigliano, il quartiere a ovest del centro storico che ospita lo stabilimento dell’azienda siderurgica.
La protesta riguardava l’ultima proposta del governo di spostare gran parte della produzione nell’impianto di Novi Ligure, in Piemonte, e si è interrotta dopo un incontro tra il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, il presidente della Liguria Marco Bucci e la sindaca di Genova Silvia Salis, che da settimane stanno sostenendo le rivendicazioni dei lavoratori dell’ex ILVA. Il ministro ha rassicurato i lavoratori sul fatto che non è in programma la chiusura dello stabilimento di Genova, e che c’è un piano per farne proseguire l’attività anche in futuro.
Le proteste erano iniziate dopo che, in un incontro con i sindacati di due settimane fa, il ministero aveva ipotizzato di trasferire tutta la lavorazione della banda zincata – un semilavorato in acciaio – a Novi Ligure, lasciando a Genova solo quella della banda stagnata, cioè la latta (quella usata per lo scatolame alimentare). La proposta era stata giudicata inaccettabile da lavoratori e sindacati perché a Genova la lavorazione della banda zincata rappresenta i due terzi della produzione. Toglierla significherebbe sostanzialmente fermare l’attività, e quindi per i lavoratori perdere tutto prima ancora che l’ex ILVA venga venduta, come prevede il piano del governo (l’ex ILVA è in amministrazione straordinaria e il governo sta cercando di venderla da mesi, ma è un’impresa molto difficile).
All’incontro con Bucci e Salis, Urso ha ritrattato la proposta e ha detto che non c’è «alcun piano di chiusura» dell’ex Ilva di Genova, e che sul piano occupazionale non cambierà nulla fino alla fine di febbraio, quando in teoria dovrebbe concludersi la procedura per la vendita dell’ex Ilva di Taranto.
Genova riceve da Taranto l’acciaio da lavorare. Urso ha rassicurato anche sul fatto che l’attività a Taranto, che al momento è rallentata, riprenderà pienamente permettendo così all’impianto di Genova di lavorare a piena capacità. Il ministro ha detto che per ora sono disponibili 22mila tonnellate di acciaio, sufficienti a proseguire l’attività dell’impianto di Genova fino a febbraio. Sempre venerdì, Urso ha incontrato anche alcuni rappresentanti delle istituzioni pugliesi, tra cui il presidente della Regione Michele Emiliano e il sindaco di Taranto Pietro Bitetti, proprio per discutere del rilancio dell’impianto di Taranto.
Che le cose vadano come dice Urso è tutto da vedere: le sue rassicurazioni sono in parte le stesse che aveva dato già a novembre, quando i lavoratori dell’ex Ilva di Genova avevano organizzato uno sciopero e avevano occupato lo stabilimento. L’ultima protesta, quella che si è interrotta venerdì, è stata intensa: hanno partecipato migliaia di lavoratori (cinquemila secondo i sindacati, quattromila secondo le forze dell’ordine), bloccando strade e infrastrutture, e ci sono stati alcuni momenti di tensione, con incendi di pneumatici e lanci di oggetti da parte dei manifestanti, e di lacrimogeni e fumogeni da parte delle forze dell’ordine.
Vendere l’ex Ilva è complicato perché da un lato c’è la necessità di ridurre l’impatto ambientale dello stabilimento, e dall’altro quella appunto di tutelare i lavoratori. Si parla da tempo di “decarbonizzare” gli stabilimenti, cioè passare a sistemi di produzione dell’acciaio meno inquinanti di quelli che impiegano carbone: utilizzare altiforni elettrici significa però anche riorganizzare il lavoro e insegnare nuove mansioni a lavoratori e lavoratrici. È quindi possibile che l’ex ILVA venga fortemente ridimensionata dopo un’eventuale vendita, anche se per ora è difficile dire quanto con esattezza, e molto dipenderà dalle scelte aziendali e del governo.



