Come si fa a uscire dalla Striscia di Gaza
Non è mai stato facile, e in questi due anni di guerra è diventato quasi impossibile

Israele ha detto che intende riaprire il varco di Rafah, l’unico punto di passaggio via terra che dalla Striscia di Gaza permette di raggiungere un paese che non sia Israele, ossia l’Egitto. Nei primi mesi della guerra attraversarlo, seppure tra molti ostacoli, era uno dei pochissimi modi che gli abitanti palestinesi avevano per sfuggire ai bombardamenti. Il varco è chiuso da maggio del 2024, quando l’esercito israeliano invase la città di Rafah: da allora andarsene è diventato quasi impossibile, se non attraverso le sporadiche evacuazioni sanitarie o con permessi approvati da Israele.
Israele vorrebbe riaprire il varco in una sola direzione, ossia per permettere ai palestinesi di uscire dalla Striscia ma non di entrarvi. L’Egitto ha detto di non aver raggiunto alcun accordo sulla questione e ha specificato che se il varco riaprirà dovrà farlo in entrambe le direzioni, come previsto dagli accordi per il cessate il fuoco.
Lasciare la Striscia di Gaza per i palestinesi è sempre stato complicato. Dalla guerra dei sei giorni del 1967 Israele controlla tutto quello che entra ed esce dal territorio, incluse le persone. Quando nel 2007 Hamas prese il potere nel territorio, Israele aumentò ulteriormente questo controllo imponendo un embargo che negli anni ha limitato l’ingresso anche dei beni di prima necessità, dalle strumentazioni mediche al cibo e al carburante, rendendo molto complicata la vita dei gazawi.
Tra il 2007 e l’ottobre del 2023 il varco di Rafah era comunque il passaggio usato più di frequente dai palestinesi che volevano lasciare la Striscia di Gaza e trasferirsi all’estero. Per farlo dovevano fare domanda al ministero dell’Interno, controllato da Hamas, che impiegava tra i due e i sei mesi per esaminarla. Il procedimento formale era comunque lento e incerto, perché il varco veniva ciclicamente chiuso e i palestinesi potevano essere respinti al confine dalle autorità egiziane senza troppe spiegazioni.

Due ragazze palestinesi siedono nel loro appartamento distrutto dai bombardamenti israeliani, 18 novembre 2025 (AP Photo/Jehad Alshrafi)
Per facilitare le partenze, negli anni sono nate delle specie di agenzie viaggi: organizzazioni che, in cambio di denaro, assicurano alle persone di poter uscire dalla Striscia inserendo il loro nome in una lista gestita dalle forze di sicurezza egiziane che controllano il varco. L’agenzia principale e più nota è la Hala Consulting and Tourism Services, fondata da Ibrahim Al Organi, un imprenditore egiziano con legami molto stretti con il governo. Molte di queste organizzazioni offrono i loro servizi pubblicizzandoli online in totale trasparenza, nonostante non sia chiaro a che titolo lavorino e ci siano ragioni documentate per credere che parte dei soldi pagati dai palestinesi serva a corrompere gli ufficiali di frontiera.
Secondo un’indagine dell’Organized Crime and Corruption Reporting Project, un’ong che si occupa di giornalismo d’inchiesta, prima della guerra per un cittadino palestinese partire in questo modo poteva costare da qualche centinaio fino a mille dollari, una cifra già considerevole. Dopo il 7 ottobre 2023 i costi sono aumentati, arrivando fino a 10mila dollari a persona. Significa che una famiglia di 4 persone potrebbe dover pagare fino a 40mila dollari, una cifra insostenibile per la maggior parte dei palestinesi della Striscia di Gaza.
A lungo Hala Consulting and Tourism Services è stata praticamente l’unica agenzia a offrire la possibilità di andarsene, facendo grossi profitti. Middle East Eye ha scritto che solo nell’aprile 2024, poco prima della chiusura di Rafah, aveva raggiunto guadagni per 58 milioni di dollari. Si stima che tra l’ottobre del 2023 e l’aprile del 2024, tra gli 80mila e i 100mila palestinesi si siano trasferiti all’estero passando per l’Egitto.
Con l’occupazione israeliana di Rafah e la chiusura del varco le cose sono diventate ancora più complicate. La principale alternativa per uscire dalla Striscia è diventata il varco di Kerem Shalom, che è poco distante da Rafah ma conduce in Israele. Per passare da qui bisogna essere inseriti dal COGAT in una lista di cittadini palestinesi autorizzati a lasciare la Striscia per ragioni di salute, studio o per legami particolari con paesi terzi. Il COGAT è la divisione dell’esercito israeliano che gestisce l’ingresso di persone e beni nella Striscia.
Essere inseriti in questa lista è sempre stato difficile, e con l’inizio della guerra lo è diventato ancora di più: secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), prima della guerra tra i 50 e i 100 pazienti al giorno lasciavano la Striscia di Gaza per ricevere cure mediche, mentre dal 7 ottobre 2023 il numero è sceso a una media di una decina al giorno. Molte richieste vengono rifiutate per esempio per legami presunti o molto lontani con persone sospettate di far parte di Hamas.
Secondo l’OMS, dall’inizio della guerra allo scorso ottobre sono state evacuate per motivi medici circa 7.600 persone, di alcune centinaia anche in Italia. È un numero molto inferiore al necessario, dato che nella Striscia ci sono più di 15mila persone che avrebbero bisogno di essere evacuate per motivi medici e che il sistema sanitario è stato praticamente distrutto dai bombardamenti.
– Leggi anche: Come funzionano le evacuazioni sanitarie dalla Striscia di Gaza

Un soldato israeliano al varco di Kerem Shalom, 24 luglio 2025 (AP Photo/Ohad Zwigenberg)
Anche nel caso di Kerem Shalom, accanto alle vie ufficiali si sono create delle strade alternative e informali. Negli ultimi mesi nella Striscia ha iniziato a operare un’agenzia simile alla Hala Consulting and Tourism Services, egiziana: si chiama Al Majd Europe e secondo un’inchiesta del quotidiano israeliano Haaretz è stata fondata da Tomer Janar Lind, un cittadino con doppia cittadinanza estone e israeliana che avrebbe contatti con il COGAT e il governo israeliano. Negli ultimi mesi ha organizzato voli verso l’Indonesia, la Malesia, il Kenya e il Sudafrica per centinaia di palestinesi, che hanno pagato tra i 1.500 e i 2.700 dollari a testa.
Il caso che aveva fatto più discutere era stato quello di un gruppo di più di 150 cittadini palestinesi partiti dalla Striscia di Gaza e rimasti bloccati all’aeroporto di Johannesburg, in Sudafrica, per più di 10 ore. Il loro viaggio era stato organizzato da Al Majd Europe e dal COGAT, ma secondo il governo sudafricano non avevano i documenti necessari a entrare nel paese. Ha comunque deciso di farli sbarcare per ragioni umanitarie.
Secondo Haaretz, Al Majd Europe opera grazie ai contatti con il nuovo Voluntary Emigration Bureau del governo israeliano, un ufficio creato a marzo per facilitare l’uscita dei palestinesi verso paesi terzi. L’attivazione dell’ufficio, così come la riapertura del varco di Rafah in una sola direzione, sono misure che si allineano con varie proposte o dichiarazioni fatte dal governo israeliano e dall’amministrazione del presidente statunitense Donald Trump sulla possibilità di spostare altrove i palestinesi della Striscia, forzatamente o facilitandone l’uscita senza possibilità di ritorno.



