Dopo l’incendio, Hong Kong non vuole rischiare
Le autorità stanno reprimendo il dissenso per evitare che la rabbia e la commozione si trasformino in un movimento politico, come successo in passato

Dopo il grande incendio della scorsa settimana a Hong Kong, in Cina, una delle preoccupazioni principali delle autorità cittadine è stata reprimere ogni forma di dissenso.
Nell’incendio sono morte almeno 159 persone e ci sono ancora alcuni cadaveri non identificati. Molti sopravvissuti sostengono che ci siano stati errori e scarsi controlli nei lavori di ristrutturazione dei palazzi in cui è avvenuto l’incendio: l’allarme antincendio era stato staccato perché le scale d’emergenza venivano usate dagli operai, i materiali da costruzione erano di scarsa qualità e gli operai stessi non rispettavano le norme di sicurezza, e per esempio fumavano sui ponteggi, vicino a materiale infiammabile.
La polizia di Hong Kong ha arrestato 15 persone legate alla ditta che faceva i lavori, ma ha arrestato anche Miles Kwan, uno studente universitario che aveva avviato una petizione per chiedere indagini trasparenti. Ha arrestato anche Kenneth Cheung, un ex consigliere circoscrizionale, per aver condiviso su Facebook contenuti critici del governo locale sulla gestione dell’emergenza. La polizia ha poi fatto annullare una conferenza stampa di attivisti e avvocati, minacciando i suoi organizzatori con ripercussioni legali.

Un pompiere a Wang Fuk Court, 28 novembre 2025 (AP Photo/Chan Long Hei)
L’incendio è avvenuto nel complesso residenziale di Wang Fuk Court. È la prima grave tragedia a Hong Kong da quando, nel 2020, il governo centrale cinese fece approvare in città una legge sulla Sicurezza nazionale che ha reso di fatto illegale ogni forma di dissenso e pose fine alle manifestazioni per la democrazia che erano cominciate l’anno prima. Da allora centinaia di attivisti e politici d’opposizione sono stati arrestati o costretti a lasciare la città, i partiti e i giornali d’opposizione sono stati chiusi, e manifestare il proprio dissenso è di fatto diventato impossibile.
Le autorità di Hong Kong hanno fatto capire fin da subito che una delle loro principali preoccupazioni era evitare che la rabbia e la commozione provocate dall’incendio si trasformassero in dissenso politico o in sommovimenti sociali. Hanno reagito usando più o meno le stesse tattiche del governo centrale cinese in occasioni simili: reprimere con anticipo e in maniera dura ogni forma di dissenso, e impedire che il cordoglio si trasformi in una qualsiasi forma di organizzazione pubblica.

Una donna guarda i palazzi incendiati, 28 novembre 2025 (AP Photo/Chan Long Hei)
Queste tattiche sono state perfezionate dalla Cina negli anni e risalgono al 1989, quando l’esercito represse con grande violenza le proteste di piazza Tiananmen, uccidendo migliaia di persone. Quelle proteste cominciarono appunto come una pubblica manifestazione di lutto per la morte di un leader politico particolarmente benvoluto.
Tra le altre cose, il governo di Hong Kong parlato di «forze straniere, compresi dei media anti Cina», colpevoli di «attacchi malevoli e ingiurie» contro le autorità. Il governatore della città, John Lee, ha detto che ci sono forze antigovernative che stanno cercando di «approfittare della tragedia». L’ufficio per la Sicurezza nazionale della Cina a Hong Kong ha inviato comunicati aggressivi in cui parla di «forze esterne ostili» che stanno cercando di «creare il caos» in città.



