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  • Mercoledì 3 dicembre 2025

Cos’è questa “tassa etica” per chi crea contenuti porno

Esiste da vent'anni ma se ne sta parlando perché oggi le persone che lavorano nel settore sono molte di più

La creator Kelly Stark filma un video per il suo canale OnlyFans (Roger Kisby/Redux/contrasto)
La creator Kelly Stark filma un video per il suo canale OnlyFans (Roger Kisby/Redux/contrasto)
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Dal 2008 tutte le persone e le aziende che lavorano nella pornografia in Italia devono pagare il 25 per cento di tasse in più sui redditi derivati da questi materiali. Ai tempi questa misura fu definita “porno tax”, ma col tempo è diventata meglio nota come “tassa etica”, perché molti critici l’hanno interpretata come una forma di discriminazione fiscale basata sul giudizio morale soggettivo dei legislatori nei confronti del settore del porno.

Se ne sta parlando, a distanza di vent’anni (la legge è del 2005, ma fu attuata nel 2008), perché negli scorsi giorni l’Agenzia delle entrate ha specificato per la prima volta che questa imposta addizionale deve essere pagata anche da chi ha una “partita IVA forfettaria”, il regime fiscale agevolato per i piccoli contribuenti. Rispetto a qualche anno fa, le persone interessate da questa notizia oggi sono nettamente di più, soprattutto grazie a piattaforme come OnlyFans, che permettono di fare soldi (tanti o pochi, dipende) pubblicando contenuti sessualmente espliciti in modo indipendente, senza bisogno di passare per la più ampia industria pornografica.

Ai tempi dell’introduzione della “tassa etica”, il settore del porno era completamente diverso da quello di oggi. Esisteva già internet, ma era tendenzialmente lento e costoso, e non c’erano ancora piattaforme che raccoglievano milioni di video porno gratuiti, come gli odierni Pornhub o YouPorn. Chi voleva vedere contenuti per adulti doveva comprare videocassette o al limite DVD, cercare i film pay-per-view trasmessi da canali come Sky o acquistare riviste e fumetti erotici. Soprattutto in Italia, poi, era un settore piccolo, perché la maggior parte delle grosse società di produzione aveva sede all’estero. Nel 2008 si stimava che l’intero giro di affari dell’industria pornografica italiana valesse circa 1,3 miliardi di euro.

Nel 2025 gli italiani che lavorano come creatori di contenuti soltanto su OnlyFans sono circa 85mila, secondo i dati raccolti da Fiscozen, una delle principali aziende italiane che permettono di gestire le partite IVA online. Non tutte le persone che pubblicano su OnlyFans trasmettono contenuti per adulti, ma la piattaforma è usata soprattutto per quelli: è facile affermare, insomma, che ci sono decine di migliaia di persone che in Italia si mantengono, del tutto o in parte, producendo porno indipendente. Rimane una professione molto stigmatizzata, che comporta molti potenziali rischi e ripercussioni, ma è decisamente più comune di quanto non lo fosse all’inizio degli anni Duemila.

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Nel 2005 a presentare l’emendamento che sarebbe diventato la “tassa etica” fu l’allora deputata di Alleanza Nazionale Daniela Santanchè, oggi ministra del Turismo. Era in carica il governo Berlusconi III, e la maggioranza di centrodestra cercò di affermare che alla base non c’era la volontà di punire chi lavorava nel porno, o di cercare di disincentivarlo come si fa con le tasse sull’alcol e sulle sigarette, ma soltanto di rimpinguare le casse dello Stato senza aumentare la pressione fiscale su altri settori.

La legge fu fortemente criticata dall’opposizione, che la riteneva «figlia di una visione moralistica della società». Santanchè, invece, sosteneva che fosse «una misura utile e opportuna» e «un modo per regolamentare, controllare e in una certa misura riconoscere un’industria la quale, checché se ne dica, è florida e in continua espansione». Una volta passata, comunque, si parlò raramente di eliminarla o modificarla, e la legge non fu nemmeno portata all’attenzione della Corte Costituzionale.

Nella pratica, questo vuol dire che tuttora chiunque guadagni dei soldi con la produzione, distribuzione, vendita e rappresentazione di materiale giudicato pornografico deve pagare, oltre a IRPEF (l’imposta sul reddito delle persone fisiche) o IRES (quella sul reddito delle società), anche una tassa addizionale del 25 per cento. Questo 25 per cento viene calcolato sulla base del reddito corrispondente all’ammontare dei ricavi o dei compensi derivanti delle sole attività relative alla pornografia: per esempio, se un videomaker freelance gira video porno ma anche documentari naturalistici, l’addizionale si calcola solo sulle fatture relative al lavoro nel porno, e non sul reddito annuale nel suo insieme.

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Fino a poco tempo fa esistevano dubbi sul fatto che anche le persone che hanno una partita IVA forfettaria (cioè guadagnano meno di 85mila euro l’anno) dovessero pagare questa addizionale, perché a loro molte addizionali non si applicano. Ora l’Agenzia delle entrate ha chiarito che anche le partite IVA forfettarie che lavorano nel porno devono versare la “tassa etica”, e che si applica anche nel loro caso con un’aliquota fissa del 25 per cento.

Non si tratta, comunque, di una “tassa su OnlyFans”, come si sta leggendo in vari articoli e commenti in questi giorni. Come ha raccontato Miriam Carraretto su Repubblica, l’Agenzia delle entrate ha detto anche che «non basta essere su OnlyFans o una qualunque altra piattaforma per adulti per far scattare automaticamente la tassa etica. Occorre guardare alla natura concreta dei contenuti, alla presenza o meno di atti sessuali espliciti e non simulati e al contesto in cui sono inseriti».

Storicamente, la legge italiana ha definito “materiale pornografico” «giornali, opere teatrali, letterarie, cinematografiche, audiovisive o multimediali, anche online, in cui siano presenti atti sessuali espliciti e non simulati tra adulti consenzienti». Una commercialista intervistata da Carraretto, di conseguenza, ha teorizzato che «dovrebbero restare fuori dalla tassa foto varie di piedi, mani o altri contenuti fetish che non mostrano atti sessuali espliciti», ma anche «scene di autoerotismo, semplice nudità o anche simulazione di atti sessuali». L’Agenzia delle entrate, secondo Repubblica, ha detto che valuterà caso per caso.

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Non è detto, comunque, che la legge continuerà a esistere a lungo. La vicepresidente di Azione Giulia Pastorella chiede da tempo che la “tassa etica” venga eliminata: di recente ha detto che «tassare di più i lavoratori che si ritiene facciano un lavoro immorale, seppure legale, non ha nulla di etico». Lei e il senatore Marco Lombardo, sempre di Azione, hanno detto che durante la stesura della prossima legge di bilancio, che dev’essere approvata entro il 31 dicembre, proporranno un emendamento per abolire questa tassa.