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  • Lunedì 1 dicembre 2025

La Svizzera ha respinto un referendum per tassare i “super-ricchi”

L'obiettivo era finanziare la politica climatica con un'imposta su successioni e donazioni: il risultato è stato nettissimo

(Martial Trezzini/Keystone via AP)
(Martial Trezzini/Keystone via AP)
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Domenica in Svizzera si è votato per una serie di referendum, tra cui uno che proponeva di contribuire finanziariamente alla politica climatica dello stato attraverso l’introduzione di un’imposta su successioni e donazioni superiori ai 50 milioni di franchi svizzeri (circa 53 milioni di euro). È stato respinto in modo molto netto dal 78,28 per cento delle persone che sono andate a votare, il 43 per cento degli e delle aventi diritto.

L’iniziativa si chiamava “Per il futuro” ed era stata promossa dai Giovani socialisti (GISO) con quasi 110 mila firme valide a sostegno. Il testo riguardava i patrimoni dei cosiddetti “super-ricchi”: puntava cioè a introdurre a livello federale un’imposta pari al 50 per cento su successioni e donazioni che oltrepassavano complessivamente una franchigia di 50 milioni di franchi: nel caso di un patrimonio di 200 milioni di franchi, per esempio, l’imposta in questione sarebbe stata di 75 milioni.

Il testo prevedeva che il gettito sarebbe stato ripartito fra confederazione e cantoni nella misura di due terzi e un terzo. Quanto al suo utilizzo, stabiliva che sarebbe dovuto servire a «combattere la crisi climatica in modo socialmente equo per apportare all’economia nel suo complesso la trasformazione necessaria a tal fine». I soggetti interessati, in base alle stime del 2021, sarebbero stati circa 2.500. Sul gettito che la nuova imposta avrebbe generato, le stime erano divergenti: i promotori del testo prevedevano entrate annue medie nell’ordine di 6 miliardi di franchi, mentre il governo le quantificava in 4,3 miliardi.

Nel fare campagna elettorale i promotori dell’iniziativa avevano messo in relazione la questione climatica con le diseguaglianze economiche, dicendo che negli ultimi tre anni le emissioni di gas serra riconducibili alle fasce con redditi medio-bassi erano diminuite, mentre quelle imputabili alle fasce più ricche erano aumentate del 30 per cento: le misure per la tutela del clima secondo loro andavano dunque finanziate soprattutto da chi era identificato come principale responsabile della crisi climatica.

Governo e parlamento si erano invece opposti al referendum prevedendo perdite per la fiscalità. L’approvazione del testo, avevano sostenuto, avrebbe potuto indurre i contribuenti interessati dalla nuova imposta a lasciare il paese, e altri ancora sarebbero stati dissuasi dal trasferirsi in Svizzera. Fra partenze e mancati arrivi, le entrate prodotte dalla nuova tassa avrebbero quindi potuto diminuire significativamente e, per compensazione, ne avrebbe risentito il ceto medio.

Trattandosi di una proposta di revisione della Costituzione federale, per approvarla sarebbe stata necessaria la doppia maggioranza, sia dei votanti che dei cantoni, ma non è stata ottenuta nessuna delle due. La proposta è stata accolta solo dalla città di Berna e da un’altra località.

Dopo il risultato la ministra delle Finanze Karin Keller-Sutter ha parlato di un «risultato netto», sottolineando però che non va letto come un “no” alla politica climatica svizzera sulla quale la confederazione intende continuare a investire circa 2 miliardi di franchi all’anno. Karin Keller-Sutter ha ricordato inoltre l’obiettivo di zero emissioni nette entro il 2050, in linea con l’Accordo di Parigi.

Frédéric Rochat, della banca privata svizzera Lombard Odier, ha dichiarato al Financial Times che il risultato inequivocabile dimostra come sia prevalso «il buon senso svizzero: gli svizzeri apprezzano che le politiche del loro paese rimangano stabili e rifiutano il populismo». E Philipp Zünd, esperto fiscale, ha a sua volta detto che «gli elettori svizzeri hanno rafforzato la reputazione della Svizzera come stabile centro economico».

Il referendum si è svolto in un momento di spaccatura tra città e paesi che stanno cercando di attrarre le fasce benestanti della popolazione mondiale con incentivi fiscali (Dubai, Abu Dhabi, Hong Kong e Singapore, tra gli altri) e quelli che vorrebbero tassarle. Qualche mese fa un tentativo in quest’ultimo senso era stato fatto in Francia attraverso l’introduzione della cosiddetta “tassa Zucman”, una proposta fatta dall’economista francese Gabriel Zucman, che prevedeva un’imposta annuale del 2 per cento sui patrimoni netti superiori ai 100 milioni di euro. Qualche settimana fa, la “tassa Zucman” era stata respinta.