Il film con cui Woody Allen è diventato quello che conosciamo

Storia di come è arrivato a fare e rifare “Io e Annie”, oggi che compie novant’anni

di Gabriele Niola

(ANSA/ WWW.IMDB.COM)
(ANSA/ WWW.IMDB.COM)
Caricamento player

Woody Allen compie oggi 90 anni, di cui 73 passati a lavorare nello spettacolo, da quando a 17 si cambiò nome da Allan Stewart Königsberg a Heywood Allen, detto Woody, e iniziò a scrivere brevi battute per vari autori di Broadway. Per i primi ventidue anni di carriera è stato un autore comico, poi un comico in prima persona e poi un attore di film comici fino a diventarne il regista. Fu a 41 anni però, nel 1977, che la sua carriera cambiò decisamente con un film diverso dai precedenti e che avrebbe dato poi la linea a tutti quelli successivi.

Quel film era Io e Annie, con protagonista Diane Keaton, morta lo scorso 11 ottobre. Fino a quel momento Allen infatti aveva girato e interpretato storie divertenti e basta, in film meno curati dal punto di vista della scrittura, della regia e del montaggio, meno audaci e privi di qualsiasi dramma. Io e Annie fu un tentativo dichiarato di fare un passo avanti e cambiare. Ci riuscì e non solo: cambiò completamente la propria carriera, trasformandosi da regista comico ad autore drammatico.

Inizialmente Io e Annie era un film confuso, di cui il co-sceneggiatore Marshall Brickman disse ad Allen: «Non riesco a seguire la storia, e l’ho scritto io». Fu necessario rivederlo completamente e risistemarlo al montaggio, levando intere parti di trama, un omicidio, alcune scenette e lasciando solo la storia dei due protagonisti principali: Alvy Singer e Annie Hall.

Sempre Marshall Brickman ha raccontato spesso dei dubbi che lui e Allen avevano già una volta finita la sceneggiatura, riguardo alle possibilità commerciali del film, e di come si fossero interrogati sull’opportunità di farlo o no. Brickman ricorda che in quell’occasione Allen gli disse che l’unica cosa sicura da fare nella vita è non ripetersi e che le uniche idee che danno un po’ di garanzie sono quelle “non a prova di bomba”: «Se sei un artista devi fare un salto in avanti e se poi scopri di essere saltato in un burrone, puoi almeno goderti la vista mentre precipiti».

Il grande salto a cui faceva riferimento Allen era quello dai film comici alle commedie più elaborate. Fino a quel momento aveva diretto Prendi i soldi e scappa, Il dittatore dello stato libero di Bananas, Il dormiglione, Amore e guerra e Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere, in cui era sempre lui il protagonista e nei quali le battute erano, come sempre, molto sofisticate e dotate di riferimenti alti, ma le trame, gli svolgimenti e la messa in scena erano ordinari e convenzionali, di poco conto e non significativi.

Nel libro intervista Io, Woody e Allen di Stig Björkman, Allen stesso ammette di aver imparato a essere un regista dal direttore della fotografia Gordon Willis, con cui lavorò per dieci anni su alcuni dei suoi film più importanti, come Manhattan o Zelig, a partire proprio da Io e Annie. Willis è stato il più importante e influente direttore della fotografia degli anni ’70 americani, ha inventato i bui di Il padrino e le luci di Tutti gli uomini del presidente, insegnò ad Allen cosa poteva fare la regia e come immaginare la parte visiva di un film.

Willis stesso, anni dopo, disse che Allen non è mai stato un regista che ragiona per immagini, cioè che comunica attraverso quelle tanto quanto attraverso la scrittura e che si rivolse a lui proprio per migliorare sotto quell’aspetto, finendo però dopo anni a sentire di aver delegato troppo: «Nonostante lavorassimo bene insieme, credo che a un certo punto si sia sentito fuori posto. Prendevo decisioni al posto suo e il risultato era sempre buono, ma credo che a un certo punto si sia sentito sminuito. […] Mi aveva assunto perché voleva fare qualcosa di diverso. Ma poi quel qualcos’altro, con gli anni, diventò qualcosa su cui si era accorto di non avere molto controllo».

Allen era sempre stato un appassionato del cinema europeo più che di quello americano, voleva essere più simile a Bergman o Fellini che a John Ford, e arrivato al suo settimo film si sentiva pronto per fare qualcosa “da autore”. Io e Annie inizia con il protagonista (interpretato da Allen) che rompe la quarta parete, cioè parla con il pubblico, cosa che non si faceva nel cinema americano mainstream, poi usa dei sottotitoli per dire cosa i personaggi vorrebbero dirsi in realtà, divide lo schermo in due per mostrare scene diverse contemporaneamente, mette in scena il massmediologo Marshall McLuhan per punire un altro personaggio e, a un certo punto, inserisce una parte animata. In questo modo per la prima volta poteva raccontare quel che voleva con un’altra profondità rispetto alle sole gag.

Tuttavia, quando la prima versione, di oltre due ore, non soddisfò nemmeno lo stesso Allen, molte scene vennero tagliate e, per dare comunque coerenza a un film a cui era stata levata almeno un’ora, vennero trovate altre soluzioni inusuali. È noto che tra le parti tagliate, oltre a una trama gialla con omicidio, ci sono più testimonianze dei suoi compagni di classe bambini, tra cui una della sua prima cotta interpretata da Brooke Shields, all’epoca bambina (e poi un flashforward di lei da adulta, contornata da figli); una parodia di un film di fantascienza degli anni ’50 con una famiglia afroamericana che va a vivere in un quartiere di bianchi; una partita di pallacanestro in cui il protagonista e alcuni giocatori veri dell’NBA giocano contro Kant, Nietzsche e Kierkegaard; una scena con il protagonista nella Germania nazista che si lamenta di non sopportare la tortura; una scena nel giardino dell’Eden con Shelley Duvall; una scena a Times Square in cui i cartelloni pubblicitari suggeriscono al protagonista di seguire Annie a Los Angeles; e il protagonista in prigione che vince una gara di barzellette.

A testimonianza dell’influenza della lavorazione di questo film, e del fatto che dopo Io e Annie non sarebbe più tornato a fare film comici e basta, molte di queste idee che dovette scartare poi in un modo o nell’altro sono finite in tanti film degli anni successivi.

Per esempio Misterioso omicidio a Manhattan è una storia gialla con Diane Keaton, ma anche Crimini e misfatti, Harry a pezzi e Stardust Memories contengono tutti dei richiami a quei pezzi scartati. E di alcune di queste scene si vedono dei piccoli pezzi nel montaggio che fu inventato dal montatore Ralph Rosenblum (anche lui considerato da Allen una delle persone che gli hanno insegnato come si faccia il cinema) per riuscire a chiudere una trama per la quale, a quel punto e dopo tutte quelle modifiche, non aveva più senso usare il finale che era stato girato originariamente.

La differenza più grande di tutte rispetto ai film precedenti, però, era che con Io e Annie Woody Allen non voleva più solo scrivere una sequenza di battute, ma fare un film. E che fosse stato disposto a sacrificare alcune risate per approfondire meglio la storia e aumentare il coinvolgimento del pubblico nella vita dei personaggi. In quel momento non era affatto garantito che qualcuno avrebbe accettato qualcosa di più serio da uno come lui. Prima che tutto fosse rivisto e rimescolato per dare priorità alla sola storia di Alvy e Annie, anche il titolo era un altro: Anhedonia, cioè il termine clinico che identifica l’incapacità di provare piacere in attività un tempo gratificanti. Al contrario proprio il successo che ebbe Io e Annie, molto diverso e molto più forte di qualsiasi altra cosa Allen avesse fatto in precedenza, gli consentì di farsi produrre molti altri film come quello. La prima cosa che gli fu chiesta fu addirittura di girare il sequel, cosa che tuttavia non rientrò mai nelle sue intenzioni.

L’impatto di quel film sul cinema americano è difficile da stimare, non solo perché creò la figura di Woody Allen come la conosciamo oggi, ma anche per come quelle soluzioni e quei toni sono stati imitati. Nonostante il disinteresse di Allen per gli Oscar e il fatto che non partecipò alla campagna per i premi, quell’anno il film vinse gli Oscar per miglior film, miglior regia, miglior attrice e miglior sceneggiatura originale. Allen non andò alla cerimonia perché, disse, aveva una serata con il suo gruppo jazz. In seguito, quel modo di rompere la consueta struttura dei film americani con tante soluzioni strane e diverse divenne una pratica più consueta, e molte delle più note commedie sentimentali si sono ispirate a Io e Annie, come Harry, ti presento Sally… o (500) giorni insieme.

Il successo di Io e Annie consentì ad Allen di andare ancora più a fondo nel tentativo di fare un cinema diverso e non per forza comico. Il film successivo fu infatti Interiors, il primo drammatico in cui lui non è nemmeno tra gli attori, e quello ancora dopo Manhattan, considerato insieme a Io e Annie uno dei vertici della sua filmografia.

Woody Allen ha più volte dichiarato di non guardare i suoi film, di non aver più visto Io e Annie dalla prima proiezione e di non ricordare per nulla come sia, ma di essere contento che sia un film che è piaciuto.