In Europa ci sono sempre più calciatrici statunitensi
Perché i contratti sono migliori e perché qui possono giocare in Champions League, tra le altre cose
di Giorgia Bernardini

In questa stagione ci sono undici calciatrici statunitensi che giocano in cinque delle più forti squadre europee: sei giocano in Inghilterra (tre nel Chelsea, due nell’Arsenal e una nel Manchester City) e le altre cinque in Francia (tre nel Lione e due nel Paris Saint-Germain).
Non è un caso, visto che a livello femminile la nazionale statunitense è tra le migliori al mondo, vincitrice di quattro edizioni dei Mondiali. Ma è una novità, perché fino a pochi anni fa le migliori calciatrici statunitensi erano incentivate, quasi obbligate, a rimanere negli Stati Uniti. Ora invece arrivano in Europa perché sono cambiate le regole statunitensi, ma anche per soldi, per fare esperienza e per giocare in squadre con una storia e un prestigio al momento inarrivabili per quelle statunitensi.
Fino al 2022 per una calciatrice statunitense forte era molto complicato giocare in Europa a causa dello status di federation players. Erano federation players (“giocatrici della federazione”) le calciatrici messe sotto contratto direttamente dalla federazione statunitense, che pagava loro gli stipendi non solo per gli impegni con la nazionale, come accade di regola, ma anche per giocare nel campionato professionistico statunitense (la NWSL, National Women’s Soccer League). La federazione lo faceva per promuovere il calcio femminile negli Stati Uniti e per far crescere il livello della NWSL, che esiste dal 2013, e la cui stagione 2025 si è conclusa da poco con la vittoria del Gotham FC.
Prima del 2013, quando già la nazionale femminile statunitense era tra le migliori al mondo, era più comune che le calciatrici statunitensi giocassero in Europa. Megan Rapinoe, tra le più famose calciatrici di sempre, aveva giocato per esempio nel Lione per una stagione, per poi tornare però in NWSL.
Poi per circa dieci anni le calciatrici statunitensi in Europa sono state rare. Le cose sono cambiate solo negli ultimi mesi. Nel gennaio del 2025 Naomi Girma, giocatrice di difesa della nazionale statunitense, di cui è considerata una delle calciatrici più carismatiche, è andata al Chelsea, dove ha un contratto fino al 2029 e dove è tra le giocatrici più pagate di Women’s Super League, la massima serie del campionato inglese.

Megan Rapinoe nel 2023 ai Mondiali (Quinn Rooney/Getty Images)
Seppur relativamente giovane, il campionato professionistico statunitense è uno dei più competitivi al mondo. Ma le calciatrici vanno in Europa per due motivi principali: il prestigio che negli Stati Uniti ancora manca e i contratti sempre più remunerativi.
Da un punto di vista di fama e reputazione, squadre femminili come il Chelsea, l’Arsenal o il Lione restano più attraenti, con più storia (seppur in gran parte una storia costruita nel calcio maschile). E anche a livello femminile vincere la Champions League ha un’importanza che si avvicina a quella di una vittoria internazionale con la nazionale.
E poi ci sono i soldi. In NWSL – il cui campionato è da poco terminato – gli stipendi delle calciatrici devono sottostare al salary cap, un limite massimo al totale degli stipendi della squadra: per il 2025 il salary cap è stato fissato a 3,3 milioni di dollari. In Europa – dove si stanno investendo sempre più soldi nel calcio femminile – non è previsto un limite massimo per gli stipendi delle calciatrici (alcune delle quali guadagnano alcune centinaia di migliaia di euro all’anno).
A questo si aggiunge l’interesse della federazione statunitense a far sì che le giocatrici possano confrontarsi direttamente con il calcio europeo. In particolare sembra che questo faccia parte del piano di Emma Hayes, la 49enne allenatrice inglese della nazionale statunitense, che prima era stata per 12 anni allenatrice del Chelsea.
È proprio lei a incoraggiare le calciatrici statunitensi ad andare a giocare in Europa. «Vogliamo che la nazionale femminile degli Stati Uniti sia la migliore squadra del mondo, vogliamo che le giocatrici possano giocare nei migliori contesti del mondo», ha detto l’allenatrice all’emittente sportiva statunitense ESPN.

Emma Hayes a ottobre a Kansas City, Missouri (Brad Smith/ISI Photos/USSF/Getty Images)
Negli ultimi anni la nazionale spagnola (campionessa del mondo in carica) e quella inglese (campionessa europea in carica) sono diventate sempre più competitive e hanno rimesso in discussione il dominio statunitense sul calcio femminile.
È ancora presto per dire se l’arrivo delle calciatrici statunitensi in Europa avrà effetti positivi sulla nazionale. Di certo sono in molti nella NWSL a lamentare il fatto che lo spostamento in Europa di molte calciatrici stia anzitutto abbassando il livello e l’attrattività del campionato statunitense.
Uno dei dirigenti di una squadra di NWSL ha detto a ESPN, chiedendo di restare anonimo, che c’è una diffusa preoccupazione legata al fatto che sempre più giocatrici importanti potrebbero andare in Europa.
In una puntata del podcast The Cooligans l’ex centrocampista della nazionale statunitense (e due volte campionessa mondiale) Julie Foudy ha detto che la scelta delle calciatrici di andare in Europa è comprensibile, ma che la NWSL deve affrontare in fretta l’argomento del tetto salariale se non vuole rischiare di perdere altre giocatrici.
La differenza rispetto agli anni delle federation players è che oggi le giocatrici sono più consapevoli di poter scegliere ciò che è meglio per loro, e la decisione di andare a giocare nelle squadre che vogliono ha sì un significato sul piano economico e di carriera, ma anche personale. Alyssa Thompson, ventunenne attaccante del Chelsea, ha detto, a proposito del suo recente trasferimento dagli Stati Uniti all’Inghilterra: «Sapevo che sarei cresciuta molto dentro al campo, ma sto crescendo molto anche fuori. E penso che questo sia molto importante per la mia crescita, in tutti i sensi».



