Cosa sta facendo l’Emilia-Romagna per limitare l’arrivo di pazienti da altre regioni
Ha iniziato da un accordo con la Calabria, da cui un sacco di persone si spostano per farsi curare

La Calabria e l’Emilia-Romagna hanno approvato un accordo per gestire la mobilità sanitaria, per controllare cioè i flussi di pazienti che provengono da altre regioni e regolare le risorse legate all’erogazione di prestazioni sanitarie fuori dalla regione. L’accordo durerà fino al 31 dicembre 2027 ed è entrato in vigore il primo novembre.
L’Emilia-Romagna con la Lombardia e il Veneto è tra le regioni che accolgono più pazienti da altre regioni, che per vari motivi non riescono a garantire un servizio sanitario adeguato, efficiente o con tempi di attesa accettabili. L’Emilia-Romagna è un riferimento soprattutto per le prestazioni sanitarie complesse come la cardiochirurgia, l’onco-ematologia, i trapianti, l’ortopedia avanzata, ma anche per la terapia delle malattie croniche. Negli ultimi anni ha accolto anche persone provenienti da altre regioni da sottoporre a interventi poco invasivi, di routine, oltre che pazienti che volevano solo essere visitati più velocemente.
Secondo i dati più recenti diffusi dall’AGENAS, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, nel 2023 l’Emilia-Romagna aveva il saldo più alto in Italia tra mobilità attiva e mobilità passiva: cioè tra la capacità delle strutture sanitarie di una regione di attrarre pazienti da altre regioni e la necessità di molti pazienti di spostarsi a causa della mancanza di strutture specializzate. La Calabria è invece una regione con uno storico saldo negativo nella mobilità sanitaria.
Per l’Emilia-Romagna il costo della mobilità sanitaria è di 12 milioni di euro, ma «più che un problema di soldi», ha spiegato il presidente della regione Michele de Pascale, «è un problema di organizzazione, anche perché noi abbiamo un modello territoriale, non solo ospedale-centrico». La mobilità sanitaria comporta anche altri problemi: le regioni da cui partono molti pazienti fanno fatica a sviluppare servizi d’eccellenza, e spesso questo movimento nasconde una quota di operazioni e ricoveri non necessari e difficili da controllare.
Le due regioni hanno dunque firmato l’accordo per ovviare a tutto questo, cercare di governare insieme i flussi e intervenire dove sono impropri. Prevede che la Calabria faccia una serie di interventi per rafforzare la propria offerta pubblica e che l’Emilia-Romagna attivi dei meccanismi per indirizzare i pazienti calabresi che si siano rivolti ai suoi ospedali pubblici alle strutture della propria regione, per una prima valutazione.
L’accordo regola anche le relazioni economiche tra Calabria ed Emilia-Romagna derivanti dalla mobilità sanitaria, stabilendo limiti di spesa massima per l’acquisto di prestazioni sanitarie tra le due regioni. I limiti variano a seconda del tipo di assistenza e delle strutture che la erogano. È stato comunque deciso che per le prestazioni pubbliche di alta complessità, ossia molto specializzate, spesso costose e tecnologicamente avanzate come trapianti o altri interventi chirurgici complessi, non venga fissato alcun limite.
L’accordo stabilisce infine che le due regioni assicurino parità di trattamento tra residenti e non residenti nell’accesso alle prestazioni sanitarie: che garantiscano quindi gli stessi tempi di attesa e le medesime condizioni di priorità, evitando qualsiasi forma di discriminazione a danno dei pazienti provenienti da altre regioni.
Per contrastare infine la cosiddetta “mobilità indotta”, cioè lo spostamento dei pazienti legato all’attività privata dei professionisti, l’accordo vieta ai medici e agli operatori delle due regioni di esercitare attività libero-professionale sia all’interno dell’ospedale che nei propri studi privati o in altre strutture nell’altra regione.



