In Veneto Alberto Stefani dovrà tenere a bada Fratelli d’Italia
È il più giovane presidente di regione in Italia e guiderà una coalizione già molto litigiosa in campagna elettorale

Alberto Stefani, il nuovo presidente leghista del Veneto, inizia il suo mandato con un grande svantaggio rispetto a Luca Zaia, che del Veneto è stato presidente negli ultimi 15 anni: fin da subito, infatti, Stefani dovrà fare i conti con gli equilibri molto precari di una coalizione litigiosa, e soprattutto con le pretese di Fratelli d’Italia che ha perso il confronto con la Lega, ma che ha quasi raddoppiato i consensi rispetto al 2020 in una regione storicamente leghista.
In Veneto gli screzi tra Lega e Fratelli d’Italia non sono un mistero. Anzi, in alcuni casi vengono esibiti in modo plateale. Martedì scorso, quando Alberto Stefani è stato invitato a parlare sul palco per la chiusura della campagna elettorale della destra, moltissime bandiere sono rimaste abbassate: quelle della Lega sventolavano come sempre, quasi tutte quelle di Fratelli d’Italia no. Lo stesso è successo quando al pulpito si è presentato Luca Zaia. Solo l’intervento della presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha messo tutti d’accordo.
Questi problemi sono il risultato di un compromesso mal digerito dalla dirigenza veneta di Fratelli d’Italia, che per mesi aveva rivendicato il diritto di indicare il candidato presidente alle regionali. Era una richiesta dettata dai risultati ottenuti alle ultime elezioni, che hanno visto Fratelli d’Italia ottenere molti più consensi rispetto alla Lega. Alle elezioni europee dello scorso anno, per esempio, in Veneto aveva ottenuto il 37,6%, la Lega solo il 13,1%.
Il nome del candidato presidente di Fratelli d’Italia c’era già – il coordinatore regionale Luca De Carlo – ma le discussioni interne alla destra si sono allungate prima per i tentativi della Lega di concedere un ulteriore mandato ai presidenti di regione, poi per aspettare gli esiti delle elezioni nelle Marche. Solo dopo la riconferma di Francesco Acquaroli nelle Marche, esponente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni ha concesso alla Lega di continuare a governare in Veneto facendo prevalere logiche di collaborazione nazionale sulle aspettative locali. De Carlo almeno nelle interviste sembra averla presa con sportività: «La nostra è stata una straordinaria generosità, perché chi ha ruoli di primo partito deve sapere tenere compatta la coalizione».
Nell’impossibilità di candidare di nuovo Luca Zaia, la Lega ha quindi puntato su Alberto Stefani, di cui in campagna elettorale si è parlato soprattutto per l’età: con i suoi 33 anni infatti è diventato il presidente di regione di gran lunga più giovane d’Italia. Giovane, è vero, ma già con una certa esperienza in politica: a 22 anni è stato eletto consigliere comunale a Borgoricco, in provincia di Padova, nel 2018 a soli 25 anni è stato eletto alla Camera, un anno dopo è diventato sindaco sempre di Borgoricco e infine alle ultime elezioni politiche del 2022 è stato riconfermato deputato. Nel 2023 è diventato segretario della Liga Veneta e nel 2024 vicesegretario federale della Lega. Tra le altre cose è anche presidente della commissione bicamerale sul federalismo, molto cara alla Lega.
Durante tutta la campagna elettorale si è presentato – almeno a parole – come un candidato in continuità con Zaia. Ha promesso di ridurre le liste di attesa per esami e visite assumendo nuovi medici e infermieri oltre che investendo nella cosiddetta sanità territoriale per alleggerire il lavoro degli ospedali. Ha anche proposto un “piano casa” per aiutare le coppie più giovani. Come aveva fatto Zaia negli ultimi 15 anni, anche Stefani ha rivendicato la necessità di ottenere maggior autonomia dallo Stato centrale.
Già dalle prossime ore inizieranno le trattative per la composizione della giunta. Prima del voto Fratelli d’Italia aveva detto di aspettarsi alcuni settori molto importanti, ma l’ottimo risultato potrebbe complicare ulteriormente le cose. Già all’inizio di novembre De Carlo aveva dato per certi gli assessorati alla Sanità, al Bilancio, alla Formazione e al Lavoro, all’Agricoltura, caccia e pesca, ai Trasporti e ai Lavori pubblici. «Ci giocheremo le altre deleghe con le presidenze di commissione», aveva detto. «Siamo convinti di poter aggiungere un po’ di frizzantezza all’azione politica: si può fare di più e meglio. Siamo il primo partito e lo saremo anche dopo, con molto entusiasmo».
Stefani dovrà affrontare anche una questione tutta interna alla Lega, e cioè il ruolo ingombrante di Luca Zaia, candidato capolista in tutte le province. Fratelli d’Italia aveva approvato la candidatura di Stefani chiedendo alla Lega di non dare a Zaia la possibilità di presentare una propria lista che avesse nel simbolo il suo nome. Per Zaia questo sarebbe stato un modo per continuare a dimostrare il proprio consenso, per eleggere consiglieri regionali a lui vicini e per mantenere un’influenza nella politica veneta.
In questo modo però Zaia avrebbe finito anche per portare via voti alla Lega e soprattutto a Fratelli d’Italia, riducendone il potere negoziale. «Se sono un problema vedrò di renderlo reale, il problema. Cercherò di organizzarmi in maniera tale da rappresentare fino in fondo i veneti. Certo, c’è ancora tempo per decidere come e in che modo», aveva detto Zaia all’inizio della campagna elettorale.
Nelle ultime settimane sono circolate diverse ipotesi in merito al futuro politico di Zaia: c’è chi dice che sarà candidato della destra alle elezioni comunali a Venezia, chi sostiene che sarebbe perfetto alla presidenza dell’Eni, chi invece che meriterebbe di fare il ministro oppure che potrebbe sostituire Stefani in parlamento. Per la Lega e per Stefani sarebbe un problema soprattutto se dovesse rimanere in Veneto come consigliere regionale.
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