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  • Lunedì 24 novembre 2025

Meno dollari, più yuan

La Cina vuole aumentare l’influenza della sua moneta, anche per non correre rischi in caso di guerra

Un donna conta mazzette di yuan a Pechino
Un donna conta mazzette di yuan a Pechino (China Photos/Getty Images)
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Uno degli aspetti meno evidenti ma più importanti della competizione crescente tra Stati Uniti e Cina riguarda le valute. Il dollaro, la valuta statunitense, è la più importante al mondo, usata a livello internazionale per i commerci e per la finanza, anche dalla stessa Cina: è una situazione di dipendenza economica che preoccupa il regime cinese. Per questo la Cina sta cercando di ridurre la propria dipendenza dal dollaro e di aumentare l’utilizzo all’estero della sua valuta, lo yuan: non con l’obiettivo di sostituire il dollaro come valuta più importante del mondo, ma per diminuire la propria vulnerabilità economica in caso di conflitto con gli Stati Uniti.

Per ottenere questo risultato la Cina sta usando vari metodi, che riguardano la finanza, la regolamentazione della propria economia e anche i rapporti commerciali e diplomatici con altri paesi. La dedollarizzazione (così viene chiamata) della Cina è in corso da anni, ma ha accelerato da quando Donald Trump è tornato presidente e ha cominciato a sfruttare la supremazia del dollaro per ottenere vantaggi commerciali a danno degli altri paesi.

Una banconota da 100 dollari (circa 86 euro) e una da 100 yuan (circa 12 euro)

Una banconota da 100 dollari (circa 86 euro) e una da 100 yuan (circa 12 euro) (Lucas Schifres/Pictobank)

L’importanza del dollaro a livello internazionale dipende dall’importanza degli Stati Uniti come prima potenza economica e militare del pianeta. Poiché gli Stati Uniti sono ritenuti uno dei paesi più stabili al mondo e la loro economia è solida e affidabile, gli investitori privati e i governi preferiscono portare avanti i commerci e le transazioni finanziarie in dollari, perché si presume che rimarranno stabili e non avranno fluttuazioni improvvise.

Molti paesi conservano anche grandi quantità di valute straniere denominate in dollari (in buona parte sotto forma di titoli di stato) proprio perché sanno che, se ci saranno problemi alla loro economia e la loro valuta dovesse crollare, i dollari invece dovrebbero rimanere stabili e affidabili. Questo fa del dollaro la principale “valuta di riserva” a livello internazionale.

– Leggi anche: Perché tutta l’economia ruota attorno al dollaro

Anche la Cina è tra i paesi che utilizzano il dollaro per i commerci esteri e ne detiene enormi riserve. Nel 2005 i dollari costituivano il 79 per cento delle riserve di valuta estera della Cina, ma nel 2019, l’ultima volta che questo dato è stato pubblicato, erano calati al 55 per cento. È plausibile che siano calati ancora. Attualmente le riserve estere della Cina ammontano a 3.300 miliardi di dollari.

Questo forte utilizzo del dollaro può però creare delle forme di dipendenza e di vulnerabilità reciproche. Il fatto che il dollaro sia la valuta di riferimento a livello mondiale, usata nei commerci e nella finanza, espone la Cina a sanzioni, embarghi e blocchi commerciali, soprattutto in caso di una guerra economica o militare tra i due paesi. Per evitare questo rischio la Cina sta lavorando da anni per ridurre l’utilizzo del dollaro e sostituirlo almeno in parte con lo yuan, la propria valuta. (Piccola nota: formalmente il nome della valuta cinese è renminbi, ma è ormai più diffuso e comprensibile parlare di yuan, che è la sua principale unità di misura).

La Cina, per esempio, sta cercando di rendere lo yuan una delle valute usate per i commerci internazionali, anche approfittando della situazione politica. Da quando la Russia ha invaso l’Ucraina, nel febbraio del 2022, a causa delle sanzioni occidentali è stata di fatto esclusa dal sistema di commerci globali, che si fa in gran parte in dollari. Ma la Cina ha continuato a commerciare con la Russia e ne ha approfittato per farlo in yuan. Pochi giorni fa il vice primo ministro della Russia, Alexander Novak, ha detto che il 99,1 per cento delle transazioni tra il suo paese e la Cina avviene in rubli e in yuan. Non è possibile confermare questo dato in maniera indipendente, ma in ogni caso è plausibile che il grosso degli scambi avvenga in yuan, vista la preminenza economica della Cina sulla Russia.

Lo stesso sta avvenendo anche con altre partnership commerciali, in cui la Cina spinge per dismettere il dollaro e cominciare a usare lo yuan: oggi più del 30 per cento del commercio cinese in beni e servizi avviene in yuan, così come il 53 per cento dei suoi scambi totali con l’estero (comprese le transazioni finanziarie).

Piazza Tiananmen a Pechino, 2012

Piazza Tiananmen a Pechino, 2012 (AP Photo/Alexander F. Yuan)

La Cina utilizza anche i prestiti ai paesi in via di sviluppo per diffondere lo yuan: l’Etiopia e il Kenya, per esempio, sono in trattative per convertire in yuan parte dei propri debiti nei confronti della Cina, finora denominati in dollari. Per i due paesi la conversione comporterebbe un risparmio di centinaia di milioni di dollari di interessi da pagare alla Cina, perché il tasso d’interesse sullo yuan è inferiore a quello sul dollaro. La Cina ci rimetterebbe con la conversione, ma è pronta ad accettare la perdita in cambio di un vantaggio più importante, quello di rafforzare l’utilizzo della sua valuta all’estero.

Perseguendo obiettivi simili, negli ultimi anni le banche cinesi hanno cominciato a emettere prestiti all’estero quasi esclusivamente in yuan. Si è diffusa anche l’emissione di obbligazioni in yuan da parte di enti o aziende straniere che vogliono finanziarsi in questa valuta. Queste obbligazioni si chiamano panda bond quando sono destinate al mercato cinese (per esempio un’azienda occidentale emette dei panda bond in yuan per raccogliere fondi in Cina); e dim sum bond quando sono rivolte ai mercati esteri (dim sum è uno stile di cucina tipico di Hong Kong, che ospita il grosso di questi bond).

Dollari e yuan

Dollari e yuan (ChinaFotoPress/Getty Images)

La dedollarizzazione della Cina avviene anche attraverso la creazione di una infrastruttura finanziaria alternativa a quella degli Stati Uniti. Attualmente la maggior parte degli scambi internazionali avviene attraverso SWIFT, la piattaforma di scambio di dati telematici più diffusa al mondo, che mette in comunicazione istituti finanziari e bancari di paesi diversi e permette sostanzialmente di fare i pagamenti internazionali. Questa piattaforma ha sede in Belgio e in passato i paesi occidentali l’hanno usata per penalizzare i propri avversari. Per esempio dopo l’invasione dell’Ucraina alcune banche russe sono state escluse da SWIFT, con conseguenze pesanti.

Per evitare questo rischio la Cina ha creato CIPS, una piattaforma alternativa a cui hanno già aderito 1.700 banche (contro le oltre 11 mila di SWIFT), soprattutto nei paesi in via di sviluppo. La Cina ha anche promosso lo sviluppo di uno yuan digitale, cioè di una valuta alternativa alle banconote fisiche che permetterebbe di pagare senza passare per i circuiti tradizionali (anche l’Unione Europea sta facendo sperimentazioni simili con l’euro).

Una cosa importante da considerare è che, nonostante tutte queste misure, la diffusione dello yuan è ancora molto limitata, benché in crescita. La valuta cinese è usata per il 4 per cento delle transazioni internazionali (contro il 50 per cento del dollaro) e costituisce il 2 per cento delle riserve di valuta detenute dalle banche centrali mondiali (contro il 57 per cento del dollaro).

La Cina ha anche alcuni ostacoli strutturali alla diffusione dello yuan. Per esempio, il regime cinese applica da decenni una stretta politica di controllo dei capitali: significa che regolamenta il denaro che esce dal paese, per evitare che persone e aziende portino i propri beni all’estero. Questo però limita le possibilità di espansione dello yuan.

Il punto è che la Cina non sembra, almeno per il momento, interessata a prendere il posto del dollaro con lo yuan. Avere la valuta più importante e usata al mondo ha dei grossi vantaggi, ma al tempo stesso può essere un peso, al punto che l’amministrazione Trump sta cercando da tempo dei modi di svalutare il dollaro per rendere più competitive le esportazioni americane. La Cina vuole invece ridurre i rischi dell’eccessiva dipendenza dal dollaro, e in questo sta avendo successo.

La dedollarizzazione rientra in un più ampio processo in cui entrambi i paesi stanno cercando di ridurre le proprie reciproche dipendenze, in campo economico, industriale e finanziario. Questo processo si chiama decoupling, disaccoppiamento: sta andando avanti da anni ma sta funzionando solo in parte, perché le due economie sono ancora strettamente legate e le aziende americane continuano ad aver bisogno di quelle cinesi, e viceversa.