Le canzoni fatte con l’intelligenza artificiale fanno capolino nelle classifiche
Nell'ultima settimana hanno raggiunto il primo posto di alcune tra quelle più famose di Spotify e di una minore di Billboard, ma non vuol dire granché

Questa settimana tre canzoni realizzate utilizzando software basati sull’intelligenza artificiale sono entrati in alcune note classifiche di ascolto di Spotify, il servizio di streaming più usato al mondo. Sono “Walk My Walk” e “Livin’ on Borrowed Time”, di un gruppo country che si fa chiamare Breaking Rust, e “Wij zeggen nee, nee, nee, tegen een AZC”, una specie di inno anti-migranti (la traduzione italiana è “Diciamo no, no, no a un centro per richiedenti asilo”) attribuito all’artista nederlandese JW Broken Veteran.
Le prime due hanno occupato in momenti diversi il primo posto della “Viral 50 USA” di Spotify, la classifica che mostra le cinquanta canzoni che sono state maggiormente condivise sulla piattaforma in una determinata area geografica (in questo caso gli Stati Uniti, per l’appunto). Attualmente sono ancora nelle prime dieci posizioni, rispettivamente al quinto posto (“Livin’ on Borrowed Time”) e al secondo (“Walk My Walk”, che ha quasi raggiunto i 4 milioni di ascolti).
“Walk My Walk” è alla sua seconda settimana anche in cima alla classifica Country Digital Song redatta da Billboard, l’influente rivista musicale statunitense. Nelle prime dieci posizioni ci sono anche altre due canzoni realizzate con l’intelligenza artificiale, “Don’t Tread On Me” e “Ain’t My Problem”, entrambe attribuite a un artista che si fa chiamare Cain Walker.
Non si tratta di un risultato così sorprendente, dato che la Country Digital Song è una classifica molto poco rilevante. Questo perché i parametri che prende in considerazione sono molto restrittivi: tiene conto dei download digitali a pagamento (che per comodità d’analisi vengono definiti semplicemente “copie”) relativi al solo genere country. Acquistare una singola canzone su uno store digitale come iTunes è ormai una pratica estremamente desueta, dato che oggi la stragrande maggioranza delle persone preferisce abbonarsi ai servizi di streaming e avere a disposizione un catalogo sconfinato: di conseguenza, per entrare nelle parti alte della classifica è sufficiente vendere pochissime copie.
Secondo i dati della società d’analisi Luminate, con cui Billboard collabora, nella prima settimana di monitoraggio, quella conclusa il 6 novembre, “Walk My Walk” aveva venduto poco più di 2mila copie, mentre “Don’t Tread On Me” e “Ain’t My Problem” circa mille. Per fare un confronto, nello stesso periodo “The Fate of Ophelia” di Taylor Swift, la canzone al primo posto della classifica di Billboard che tiene conto di tutti i generi (Digital Song Sales), ne aveva vendute più di 29mila.
“Wij zeggen nee, nee, nee, tegen een AZC” invece è tuttora al primo posto della “Viral 50” nederlandese, ma in una versione remixata e non attribuita a JW Broken Veteran. Pochi giorni dopo la sua ascesa in classifica, infatti, la canzone originale era stata rimossa da Spotify e da YouTube, così come tutte le altre di JW Broken Veteran. Un portavoce di Spotify ha detto al giornale nederlandese NU che la musica di JW Broken Veteran non è stata rimossa dalla piattaforma, ma dai «detentori dei diritti» (non è chiaro chi siano).
Anche queste classifiche di Spotify hanno una rilevanza molto limitata. È ormai noto che sia possibile manipolarle in maniera semplice, ricorrendo a metodi come il bot listening, che consiste nell’utilizzare dei bot per simulare dei finti ascolti e far sembrare che le canzoni abbiano un successo che in realtà non hanno.
Non è neppure la prima volta che una canzone generata con l’intelligenza artificiale raggiunge risultati del genere. L’anno scorso per esempio era stato scoperto che Michael Smith, un anonimo musicista statunitense, aveva ottenuto più di 10 milioni di dollari in royalties dalle principali piattaforme di streaming musicale grazie a stratagemmi di questo tipo. In sostanza utilizzava vari software per generare moltissime canzoni, le caricava con nomi di band inventate e poi creava migliaia di account falsi e automatizzati in modo da gonfiare i numeri di ascolti giornalieri calcolati dalle piattaforme, riuscendo così a ottenere gli stessi compensi di gruppi e musicisti conosciuti da centinaia di migliaia di persone.
A luglio invece i Velvet Sundown, una band di rock psichedelico fino a quel momento sconosciuta, avevano ottenuto un successo straordinario su Spotify nel giro di un paio di settimane, superando i 500mila ascoltatori mensili. Fin dall’inizio si era diffuso il sospetto che le loro canzoni fossero state create con l’intelligenza artificiale, sospetto poi confermato dalla stessa band (che quindi probabilmente nemmeno esisteva), che aveva descritto la propria musica come «una provocazione artistica pensata per mettere in discussione i confini dell’autorialità, dell’identità e della musica stessa nell’era delle IA».
È verosimile che casi del genere saranno sempre più frequenti, anche perché da qualche anno servizi come Suno e Udio hanno reso queste operazioni alla portata di chiunque. Permettono di usare l’intelligenza artificiale per generare un brano sulla base di alcune semplici richieste dell’utente: il genere musicale (rock o country, per esempio), il ritmo, l’atmosfera e alcune indicazioni per l’eventuale testo. E per farlo basta pagare un abbonamento piuttosto contenuto. Secondo uno studio pubblicato mercoledì da Deezer, un servizio di streaming francese molto utilizzato all’estero, ogni giorno vengono caricati sulla piattaforma 50mila brani generati dall’intelligenza artificiale, circa il 34 per cento del totale.
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