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  • Venerdì 14 novembre 2025

Dopo gli attentati del 2015 la Francia non è più tornata indietro

Ha normalizzato lo stato di emergenza e rafforzato i controlli, applicando misure restrittive in modo a volte ritenuto arbitrario e discriminatorio

Polizia in tenuta antisommossa a Parigi, a settembre del 2025 (AP Photo/Aurelien Morissard)
Polizia in tenuta antisommossa a Parigi, a settembre del 2025 (AP Photo/Aurelien Morissard)
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Il giorno dopo gli attacchi terroristici del 13 novembre del 2015 a Parigi, in cui morirono più di 130 persone e che furono rivendicati dallo Stato Islamico (ISIS), l’allora presidente francese François Hollande impose lo stato di emergenza su tutto il territorio continentale francese. Era la prima volta che succedeva dagli anni Sessanta e fu descritta come una misura eccezionale ma necessaria, per un evento che non aveva precedenti nella storia del paese.

Da allora però la Francia non è più tornata indietro: nei successivi dieci anni questo stato di emergenza di fatto non è mai stato ritirato, e anzi i metodi che lo contraddistinguevano sono diventati quelli usati abitualmente dalle autorità francesi per contrastare il terrorismo, fra molte critiche, storture e dubbi sulla loro legalità.

Il primo stato di emergenza durò 12 giorni e venne prorogato più volte per due anni, durante i quali l’ISIS mise in atto altri attentati sia in Francia sia in Europa. A ottobre del 2017 fu sostituito dalla cosiddetta legge SILT, acronimo francese della legge per il Rafforzamento della sicurezza interna e della lotta contro il terrorismo. Questa normalizzò una sorta di stato di emergenza permanente che permette al governo di limitare i diritti e le libertà delle persone in nome della sicurezza nazionale, anche sulla base di semplici sospetti. Per questo fu da subito molto criticata da organizzazioni non governative e da esperti di diritto, ma oggi è ancora in vigore. Alcuni governi hanno anche provato ad estenderne la portata, senza successo.  

L’entrata del Bataclan, a Parigi, il 13 novembre 2021, sei anni dopo l’attentato (Kiran Ridley/Getty Images)

La legge SILT permette l’applicazione di quattro fra le misure principali dello stato di emergenza per prevenire attacchi terroristici, quindi prima che un reato venga commesso: questo è l’aspetto importante. Tra le altre cose autorizza le forze dell’ordine e la magistratura a creare zone geografiche delimitate il cui accesso è soggetto a controlli; a chiudere temporaneamente luoghi di culto; a perquisire abitazioni e ambienti considerati come potenzialmente pericolosi o legati ad attività terroristiche.

I governi francesi hanno sempre sostenuto che queste misure siano necessarie per gestire un fenomeno complicato, capillare e stratificato come quello del terrorismo islamico e della radicalizzazione. In questi casi, dicono i sostenitori della legge, è meglio intervenire subito, anche quando una persona è molto lontana dal pensare di progettare un attacco, se la si considera potenzialmente pericolosa. Dall’altra parte i critici sostengono che queste misure finiscano per essere discriminatorie e che in questi anni siano state applicate con troppa facilità e in modo a volte improprio e arbitrario, limitando la libertà individuale anche di persone che non erano sotto processo (un’opinione sostenuta anche da diverse sentenze).

– Leggi anche: Perché in Europa non ci sono più stati attentati come quello al Bataclan

La misura emblematica di questo squilibrio, e che ha causato problemi e ricorsi in questi anni, è quella delle cosiddette MICAS, ossia “Misure individuali di controllo amministrativo e di sorveglianza”. Possono essere applicate per un massimo di 12 mesi nei confronti di persone ritenute pericolose per motivi legati al terrorismo, anche senza che ci siano accuse formali, ma per esempio sulla base di quello che scrivono o guardano online e dei loro contatti (questo è stato il caso per diverse donne, che le hanno ricevute perché frequentavano uomini condannati o sospettati di reati di terrorismo). Per certi versi le MICAS sono simili alle misure di sorveglianza speciale previste dalla legge italiana, che però sono usate molto meno spesso.

Le MICAS hanno conseguenze molto concrete: alle persone destinatarie può essere vietato uscire da un determinato perimetro geografico, ad esempio il comune di residenza. Possono essere obbligate a presentarsi in caserma tutti i giorni e possono anche ricevere il divieto di frequentare certi luoghi o vedere certe persone. Chi trasgredisce rischia fino a tre anni di carcere e una multa fino a 45mila euro.

Tre poliziotti davanti al villaggio olimpico di Parigi, il 23 luglio del 2024 (AP Photo/Rebecca Blackwell)

Le MICAS sono state una conseguenza degli attentati di Parigi del 2015 e sono state introdotte in un periodo in cui decine di cittadini francesi radicalizzati si trasferivano o visitavano la Siria, dove lo Stato Islamico aveva istituito il suo califfato. Inizialmente quindi le misure erano state pensate per una categoria ben precisa di persone: quelle con comprovati legami con gruppi terroristici in Medio Oriente o quelle uscite dal carcere e condannate per reati legati al terrorismo, che anche una volta scontata la loro pena continuavano a essere sorvegliate.

Negli anni però le cose sono cambiate, ed è diventato più frequente sottoporre a limitazioni persone mai condannate né perseguite per questi reati. Sono anche aumentate le misure preventive emesse per persone con altri precedenti penali o che sono state processate per reati di terrorismo ma le cui accuse sono state archiviate, o che sono state assolte.

– Leggi anche: Il processo a tre donne francesi dello Stato Islamico

Secondo alcuni esperti, in questi anni le MICAS hanno smesso di essere solo uno strumento di controllo e hanno iniziato a essere usate come alternative a una pena più seria, quando non è possibile arrivare a una condanna (essendo misure amministrative, possono essere attivate con molta più facilità). Questo crea grossi problemi a persone che, per esempio, sono senza lavoro e sono costrette a cercarlo nel loro comune di residenza, che magari è un paese da poche migliaia di persone con poche opportunità. Anche il fatto di doversi presentare ogni giorno in caserma a metà mattina rende molto complicato per una persona trovare un lavoro stabile, contribuendo al suo isolamento.

L’utilizzo delle MICAS è stato giudicato particolarmente sproporzionato l’anno scorso: in previsione delle Olimpiadi di Parigi, il ministero dell’Interno francese aveva emanato 559 MICAS. L’allora ministro dell’Interno Gérald Darmanin disse che erano state emesse contro «persone molto pericolose o potenzialmente in grado di passare all’azione», con l’obiettivo di tenerle lontane dagli eventi pubblici. Poco dopo però i giornali francesi avevano documentato vari casi limite nell’applicazione delle misure di sorveglianza che furono annullati dai tribunali, perché considerati eccessivi.

Fra questi c’era il caso di un uomo che dopo undici anni aveva perso il suo impiego all’aeroporto di Orly dopo l’emissione di una MICAS che lo obbligava a rimanere in un perimetro che escludeva il luogo di lavoro. La MICAS era stata emessa sulla base di una denuncia presentata nel 2022 da un suo vicino che l’aveva accusato di avergli rivolto insulti antisemiti e minacce di morte durante un litigio: le accuse erano state archiviate dopo che l’uomo aveva dimostrato che al momento presunto dei fatti si trovava al lavoro.

Un altro caso molto discusso durante il periodo delle Olimpiadi è stato quello delle MICAS emesse nei confronti di sette ragazzi tra i 14 e i 18 anni, che di conseguenza non potevano più uscire dal loro comune nel sud della Francia ed erano obbligati a presentarsi in caserma tutti i giorni, cosa che inizialmente ha impedito ad alcuni di andare a scuola. Uno di questi ragazzi, di 16 anni, si era convertito all’Islam e secondo le autorità sarebbe entrato in contatto con altri giovani «pro-jihadisti» sui social network. La caserma in cui doveva presentarsi ogni giorno si trovava fuori dal suo comune di residenza, e per questo dovevano accompagnarcelo i suoi genitori.

– Leggi anche: L’applicazione senza precedenti di misure restrittive in Francia, in vista delle Olimpiadi