La più grande baraccopoli d’Europa sta diventando una città
A Borgo Mezzanone, in Puglia, i braccianti stranieri si sono organizzati da soli dopo anni di promesse del governo
di Angelo Mastrandrea, foto di Andrea Sabbadini

altre
foto
Nella più grande baraccopoli di migranti in Europa, a Borgo Mezzanone in provincia di Foggia, molti abitanti stanno costruendo delle case in muratura al posto dei ripari improvvisati in lamiera e plastica in cui vivono da anni.
La più grande la sta tirando su Mohamed, che viene dalla Guinea e vive a Borgo Mezzanone da dieci anni. Mohamed lavora alla sua casa nei fine settimana, mentre negli altri giorni fa il caposquadra, cioè organizza e trasporta con un furgone gruppi di braccianti a raccogliere le olive nei campi della Capitanata, l’amplissima pianura nel nord della Puglia (il suo nome deriva da quello del funzionario dell’Impero bizantino che amministrava questo territorio, il catapano).
Per ora Mohamed ha costruito le basi del pianterreno e una scala che conduce a un solaio, da cui si può osservare tutta la baraccopoli. A questo ritmo per completarla gli serviranno un paio d’anni, dice. A poca distanza da casa sua si incontrano altre persone che stanno intonacando le mura di un’altra casa, quasi finita. Lamine, che viene dal Gambia, sta spingendo un carrello della spesa con dentro vestiti e coperte, l’ultimo passaggio prima del trasloco. Su un muro accanto si legge una scritta fatta con lo spray: rooms to rent, «stanze in affitto», seguita da un numero di cellulare.

Il cartello «Stanze in affitto» nella baraccopoli di Borgo Mezzanone (Andrea Sabbadini per il Post)

Lamine, un migrante arrivato dal Gambia, porta alcune coperte nella sua nuova casa (Andrea Sabbadini per il Post)
A Borgo Mezzanone vivono tra i 3mila e i 5mila migranti, a seconda delle stagioni. Provengono quasi tutti dall’Africa subsahariana, anche se le stime non sono precise perché la gran parte degli abitanti non ha i documenti in regola. La maggior parte è arrivata qui per lavorare nelle campagne come stagionali – a volte grazie al “decreto flussi” – ma con il tempo sono rimasti in Italia e hanno deciso di stabilirsi qui, nonostante di norma il lavoro agricolo richieda di spostarsi di regione in regione seguendo il ritmo della raccolta di frutti e ortaggi.
«In passato i migranti venivano qui in estate per raccogliere i pomodori e dormivano in baracche improvvisate, poi si spostavano in Calabria per i mandarini e le arance. Ora invece la gran parte di loro vive qui tutto l’anno e si costruisce una casa per stare meglio», dice Maria Palmieri, coordinatrice del progetto Spartacus, che aiuta le persone che vivono nelle baraccopoli pugliesi a trovare un lavoro regolare, senza sottostare agli intermediari-sfruttatori che nel gergo si chiamano “caporali”. «Durante la stagione invernale sistemano le serre, preparano il terreno o fanno altri lavoretti. Preferiscono non spostarsi in altre zone d’Italia come facevano un tempo», conferma Giovanni Tarantella, segretario della FLAI (Federazione lavoratori dell’agro industria) CGIL.

(Andrea Sabbadini per il Post)
Questo cambiamento di abitudini ha delle conseguenze concrete anche sulla baraccopoli di Borgo Mezzanone, che sta cambiando faccia.
I primi insediamenti risalgono a circa vent’anni fa. Nel tempo la baraccopoli si è sviluppata lungo la pista d’atterraggio dell’ex aeroporto militare di Borgo Mezzanone, dismesso dopo la fine delle guerre nei Balcani. Ormai da tempo il paese in sé di Borgo Mezzanone è molto più piccolo e spopolato della baraccopoli: ci vivono circa 400 persone.
Il paese e la baraccopoli sono uniti da una strada molto dissestata, che va percorsa a passo d’uomo anche in auto. La striscia di atterraggio è il corso principale della baraccopoli: ai suoi lati si alternano per un paio di chilometri container in metallo, baracche fatiscenti, tendoni improvvisati, bar e negozi che vendono un po’ di tutto. Ci sono anche tre moschee e una chiesa evangelica. Per strada c’è un traffico continuo di auto sderenate, pullmini pieni di braccianti, biciclette e motorini.

La baraccopoli di Borgo Mezzanone (Andrea Sabbadini per il Post)

Un deposito di materiali vari nella baraccopoli di Borgo Mezzanone (Andrea Sabbadini per il Post)
Attorno alla pista sono stati costruiti i diversi quartieri, divisi piuttosto rigidamente in base alla provenienza delle persone. All’ingresso ci sono le persone che provengono dalla Somalia, più avanti i maliani e ancora oltre i gambiani. In fondo c’è il vivace distretto nigeriano, l’unico dove si vedono in giro anche le donne. A dirimere i conflitti c’è una sorta di consiglio informale in cui sono rappresentati i gruppi etnici più numerosi.
Molte persone non escono mai dalla baraccopoli perché temono di essere fermate ed espulse. Tra loro c’è chi si è visto respingere la domanda di asilo, chi è arrivato con un regolare permesso ma è stato truffato perché gli intermediari a cui ha pagato migliaia di euro per venire in Italia sono spariti o le aziende di destinazione sono risultate inesistenti, e chi ha perso il lavoro e quindi anche il permesso per rimanere.
Abdul, 52 anni, è arrivato dal Togo nel 2006 e fino al 2011 era impiegato in una stamperia a Milano. «Avevo un contratto con un’agenzia interinale, poi persi il lavoro a causa della crisi economica, rimasi senza documenti e nel 2016 mi trasferii a Borgo Mezzanone». Da allora non è mai uscito dal campo perché questo «è l’unico posto dove posso stare tranquillo senza il permesso di soggiorno». Di recente ha recuperato in giro alcuni tavolini e aperto una specie di rosticceria. Dice che vengono a mangiare da lui persino i somali, nonostante vivano dalla parte opposta della baraccopoli. Prepara principalmente piatti a base di riso.

Abdul nella sua cucina (Andrea Sabbadini per il Post)

Avventori ai tavoli della specie di rosticceria aperta da Abdul a Borgo Mezzanone (Andrea Sabbadini per il Post)
Farid, un ex militare afgano arrivato attraverso la cosiddetta «rotta balcanica», ha aperto un negozio di generi alimentari. Dice che è stato costretto a scappare dal suo paese perché ha lavorato con i marines statunitensi e «i talebani ora mi ucciderebbero». Per provarlo mostra le cicatrici di un attentato a cui è sopravvissuto. La sua famiglia, moglie e tre figli, è in Svezia, ma lui non è ancora riuscito a raggiungerli.

Farid nel suo negozio di generi alimentari a Borgo Mezzanone (Andrea Sabbadini per il Post)
Koffi invece è arrivato dal Togo. Ripara televisioni ed elettrodomestici vari. Al bancone improvvisato del bar Coffee$drink invece c’è David, che arriva dal Gambia e dice di aver abbandonato una promettente carriera da «allenatore di calcio» per venire a Borgo Mezzanone. Ogni giorno dalle 4 del mattino prepara i caffè «per le persone che vanno a faticà» nelle campagne e poi, man mano che rientrano, fa loro da mangiare. Come le osterie di paese di una volta.
Il ghetto di Borgo Mezzanone esiste da quando, nel 2005, l’aeroporto militare, già abbandonato da qualche anno, fu trasformato in un centro di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) gestito dal ministero dell’Interno. Il centro in realtà esiste ancora – al momento ci vivono 150 persone – ma ormai occupa una parte molto piccola dell’abitato.

Il CARA di Borgo Mezzanone visto dalla baraccopoli (Andrea Sabbadini per il Post)
Col tempo moltissimi migranti che lavoravano nelle campagne della zona o ex ospiti dello stesso centro di accoglienza cominciarono a costruire delle baracche attorno alla recinzione metallica. Attraverso un buco nella rete entravano nel centro per utilizzare le docce e i bagni. Negli anni seguenti la baraccopoli si è ingrandita sempre di più per ospitare le migliaia di braccianti-migranti impiegati nei campi. Nel 2019 il ministro dell’Interno Matteo Salvini mandò le ruspe ad abbattere le baracche, annunciando trionfalmente la chiusura della baraccopoli. Ne furono distrutte 80: ben presto furono ricostruite. Da allora gli abitanti sono triplicati e la baraccopoli è diventata una vera e propria città informale, che non esiste su nessuna mappa e non ha praticamente nessun servizio.
L’acqua viene portata due volte a settimana con delle autobotti, ottenute dagli enti locali dopo molte richieste. L’energia elettrica è prodotta con generatori o viene presa da allacci improvvisati ai cavi che passano nella zona, e quando fa notte la gran parte del campo rimane al buio. I rifiuti sono accumulati dappertutto e spesso vengono smaltiti bruciandoli. Non esistono bagni e molte persone utilizzano quelli del vicino centro di accoglienza, passando attraverso i buchi nella recinzione. Non c’è neppure una rete fognaria.

Le cisterne dell’acqua che vengono riempite due volte a settimana (Andrea Sabbadini per il Post)

Panni stesi ad asciugare nel quartiere somalo di Borgo Mezzanone (Andrea Sabbadini per il Post)
Le visite mediche sono garantite dalla clinica medica della ong Intersos, che ogni giorno gira per le vie della baraccopoli. «Li incontriamo a fine giornata. Spesso passano da noi in clinica mobile con indosso gli impermeabili e gli stivali di gomma, le divise da lavoro. Hanno ferite aperte causate dagli attrezzi di lavoro, occhi gonfi e lacrimanti a causa di una qualche allergia stagionale o dolori diffusi al corpo, alla schiena, alle gambe. Se non ci fossimo noi lì, a due passi da casa, pochi di loro si rivolgerebbero al medico o andrebbero in ospedale a farsi medicare le ferite», si legge sul sito dell’associazione.
Molti migranti hanno cominciato a costruirsi le case da soli proprio negli anni in cui lo Stato avrebbe dovuto demolire il campo e costruire al suo posto degli alloggi in muratura: a Borgo Mezzanone se ne parla ormai da anni, senza alcun risultato concreto.

Un migrante africano mentre lavora alla sua abitazione in costruzione a Borgo Mezzanone (Andrea Sabbadini per il Post)
Nel 2022 il governo Draghi stanziò 54 milioni di euro di fondi europei del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e 154 in totale per il «superamento» degli insediamenti informali in Puglia. Solo nella pianura della Capitanata, la CGIL ne ha contati una trentina, e ci vivono in totale più di 10mila persone. A Borgo Mezzanone avrebbero dovuto essere costruiti 4mila alloggi, ma il progetto prima è stato ridimensionato a 1.250 posti letto, poi è stato cancellato dalla lista delle opere da realizzare con i soldi del PNRR. Anche gli altri progetti già finanziati sono falliti, mentre l’unico approvato, nel comune di Lesina, è stato rifiutato dal sindaco di centrodestra Primiano Di Mauro perché «la comunità è contraria».
«Il governo Meloni ha fatto in modo che quei fondi rimanessero solo sulla carta», dice Domenico La Marca, eletto col centrosinistra a sindaco di Manfredonia, il comune di Borgo Mezzanone. La sua amministrazione aveva chiesto al governo nazionale un piano per regolarizzare i braccianti senza documenti che vivono nella baraccopoli, in modo che potessero fare richiesta per accedere agli alloggi. «Non abbiamo ricevuto risposte», dice.
– Leggi anche: L’Italia ha sprecato i fondi per migliorare la condizione dei braccianti















