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  • Giovedì 6 novembre 2025

Il football universitario è un affare sempre più serio

Girano sempre più soldi, gli esiti sono sempre più imprevedibili e i licenziamenti degli allenatori più costosi e sorprendenti

Lo stadio da 81mila posti dei Clemson Tigers durante una partita di campionato, 18 ottobre 2025 (AP Photo/Jacob Kupferman)
Lo stadio da 81mila posti dei Clemson Tigers durante una partita di campionato, 18 ottobre 2025 (AP Photo/Jacob Kupferman)
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Il campionato universitario di football americano è il secondo campionato più seguito negli Stati Uniti dopo la NFL, il campionato professionistico di football. Negli Stati Uniti il football universitario è quindi più seguito di NBA e MLB, i campionati professionistici di basket e baseball. Nel campionato universitario (a sua volta formato da alcuni sotto-campionati) girano molti soldi e le migliori squadre universitarie spendono milioni di dollari per gli allenatori: per assumerli, ma anche per licenziarli. In questa stagione, iniziata a fine agosto, sono già stati esonerati 11 allenatori su 136 e le loro buonuscite sono costate alle squadre più di 170 milioni di dollari.

Capita in molti sport che gli allenatori vengano esonerati, di fatto rimossi dal loro incarico ma comunque pagati: è il modo più veloce, seppur costoso, per cercare di raddrizzare una stagione storta. Il fatto è che nel football universitario gli esoneri non erano mai stati tanto costosi e rilevanti come quest’anno, in cui a essere licenziati sono stati allenatori spesso piuttosto noti, di squadre storicamente tra le più forti.

La qualità e la quantità di questi esoneri sono tra le peculiarità di una stagione inconsueta e caotica, non solo dal punto di vista sportivo. Uno dei segni di quanto quest’anno il football universitario venga preso molto più sul serio rispetto al solito.

Caotica come questa enorme invasione di campo di settembre, una cosa non comune nel football americano, nemmeno in quello professionistico

Un altro esempio: per sostituire l’allenatore degli LSU Tigers, la squadra dell’università statale della Louisiana, è intervenuto persino Jeff Landry, il governatore repubblicano dello stato. A fine ottobre – in un momento in cui il governo federale non può più spendere soldi (salvo per le attività essenziali) – Landry ha usato la sua conferenza stampa settimanale per parlare di football. Ha licenziato in diretta il direttore sportivo della squadra, cioè colui che aveva scelto il precedente allenatore, e ha ipotizzato che potesse essere il presidente Donald Trump a scegliere quello nuovo.

È una cosa molto inusuale anche per lo stato della Louisiana, dove già un secolo fa il governatore scriveva i cori per i Tigers. E in generale per gli Stati Uniti, dove i politici intervengono spesso in questioni che riguardano il football universitario. Succede perché molte università (e quindi molte squadre) sono finanziate anche dallo stato in cui si trovano, e un campionato che va male può essere una cattiva pubblicità. Soprattutto se si tratta di una squadra prestigiosa e l’allenatore ha uno stipendio da diversi milioni di dollari l’anno. È un investimento statale andato male. Anzi: un investimento sbagliato nello stipendio di quello che spesso è il dipendente pubblico più pagato dello stato.

Negli ultimi quattro anni lo sport universitario è cambiato tantissimo negli Stati Uniti perché ora è possibile pagare i giocatori-studenti, che prima potevano al massimo avere accordi commerciali esterni alle università. Questo ha fatto crescere la competizione tra le varie università, che oltre a ricevere soldi dagli stati ne ricevono dalle televisioni.

Tuttavia, il cambiamento è stato così rapido e intenso da rendere gli esiti del campionato molto più imprevedibili. Quest’anno tra le migliori squadre del campionato ce ne sono, per esempio, due storicamente poco competitive: gli Indiana Hoosiers (squadra di Bloomington, nello stato dell’Indiana) e i Vanderbilt Commodores di Nashville, in Tennessee. Insomma, girano sempre più soldi eppure c’è grande incertezza sugli esiti, cosa che spesso porta a spendere tanto ma male, senza vincere.

Alcuni di questi errori di valutazione derivano anche da aspettative enormi, spesso alimentate più dal clamore mediatico che da considerazioni sportive. I Texas Longhorns erano considerati una delle squadre più forti di tutti gli Stati Uniti perché, tra le altre cose, il loro quarterback titolare sarebbe stato il 21enne Arch Manning. Su di lui c’erano enormi aspettative, perché suo zio è Peyton Manning, uno dei più forti quarterback di sempre. Ma finora ha giocato molto male in quasi tutte le partite e i Longhorns non sono nemmeno così certi di potersi qualificare ai playoff, le fasi finali.

I Texas Longhorns quando entrano nel loro enorme stadio

In questo contesto già abbastanza caotico di per sé, Bill Belichick, il miglior allenatore della storia del football americano, sta facendo una pessima stagione allenando (dopo diversi anni in NFL) la squadra universitaria dei North Carolina Tar Heels.

Belichick ha 73 anni ed è l’allenatore più vincente della storia della NFL: con i New England Patriots ha vinto sei volte il Super Bowl, la finale di NFL; più di ogni altro. Lo scorso dicembre firmò un contratto da 10 milioni di dollari all’anno con l’Università della North Carolina, molto più famosa per la sua squadra di basket (ci giocò Michael Jordan) che per quella di football, che è sempre stata mediocre.

L'allenatore dei North Carolina Tar Heels Bill Belichick, 25 ottobre 2025 (AP Photo/Ben McKeown)

Bill Belichick, 25 ottobre 2025 (AP Photo/Ben McKeown)

L’obiettivo dell’Università della North Carolina era quello di investire su un allenatore famoso, che avrebbe portato molti più tifosi allo stadio e donazioni private e, si sperava, a risultati sportivi migliori. Questi risultati, però, non sono arrivati: la squadra ha perso 5 delle 8 partite giocate finora. Noto per il suo stile molto duro e disciplinato, Belichick sembra faticare a gestire la squadra e lo staff. Non è riuscito – almeno fino ad ora – ad adattarsi a una realtà comunque diversa rispetto a quelle di NFL in cui si era imposto.

Non è ancora stato licenziato, anche perché – a prescindere dai risultati – il suo arrivo ai Tar Heels ha aumentato davvero i tifosi e le donazioni, una cosa molto utile in uno sport dove, appunto, servono sempre più soldi. Inoltre, la sua buonuscita costerebbe alla squadra 30 milioni di dollari.