Il parlamento ha approvato la riforma costituzionale della giustizia

Neanche al Senato la legge ha ottenuto abbastanza voti per entrare in vigore da subito: servirà un referendum

I senatori del Partito Democratico, del Movimento 5 Stelle e di Alleanza Verdi e Sinistra protestano contro l'approvazione della riforma della giustizia in Senato, il 30 ottobre 2025 (ANSA/ UFFICIO STAMPA PD)
I senatori del Partito Democratico, del Movimento 5 Stelle e di Alleanza Verdi e Sinistra protestano contro l'approvazione della riforma della giustizia in Senato, il 30 ottobre 2025 (ANSA/ UFFICIO STAMPA PD)
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Giovedì il Senato ha approvato in via definitiva la riforma costituzionale della giustizia promossa dal governo di Giorgia Meloni, che fra le altre cose introduce la separazione delle carriere dei magistrati. Come già accaduto alla Camera lo scorso mese, neanche in Senato la legge ha ottenuto la maggioranza dei due terzi dei seggi (i voti favorevoli sono stati 112, 59 i contrari e 9 le astensioni), che avrebbe permesso di farla entrare subito in vigore. Verrà quindi chiesto un referendum confermativo: la legge potrà essere effettivamente promulgata solo se voterà a favore più del 50 per cento dei votanti al referendum (nei referendum confermativi non è previsto un quorum).

Il referendum può essere chiesto da un quinto dei componenti di una camera, da 500mila elettori o da 5 consigli regionali: in questo caso succederà per via parlamentare, e hanno detto di volerlo fare sia la maggioranza che l’opposizione (anzi, stanno già battibeccando su chi riuscirà a chiederlo prima). Il referendum probabilmente si terrà tra la metà di aprile e l’inizio di giugno del 2026.

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La riforma prevede di separare le carriere dei magistrati inquirenti, ovvero i pubblici ministeri che conducono le indagini, da quelli giudicanti, cioè i giudici che emettono le sentenze. Al momento chi vuole diventare magistrato sostiene un unico concorso pubblico, valido per entrambe le funzioni, e dopo averlo superato decide se fare il pubblico ministero (pm) o il giudice. Può anche decidere di passare dall’una all’altra funzione ma può farlo solo una volta e nei primi nove anni della sua carriera. Questo passaggio viene fatto ogni anno da una ventina di magistrati su circa 10mila. Fra i due ambienti ci sono comunque diverse commistioni, dato che la stragrande maggioranza sia dei giudici sia dei pm per esempio fa parte dell’Associazione Nazionale Magistrati.

La riforma interverrebbe anche sul Consiglio superiore della magistratura (CSM), l’organo di autogoverno della magistratura che, tra le altre cose, dispone trasferimenti, promozioni e sanzioni dei magistrati. Oggi esiste un unico CSM ma con la separazione delle carriere diventerebbero due, uno per la magistratura requirente e l’altro per la magistratura giudicante, entrambi presieduti dal presidente della Repubblica come il CSM attuale. Verrebbe poi istituita un’Alta Corte disciplinare, un organo che dovrebbe emettere sentenze disciplinari e stabilire le sanzioni nei confronti dei magistrati di entrambe le funzioni che commettono illeciti disciplinari.

La separazione delle carriere dei magistrati sarebbe un cambiamento notevole nell’ordinamento della magistratura, di cui si discute da decenni. A testimonianza di quanto la questione sia sentita, l’ultimo voto alla Camera su questa riforma a settembre si era concluso con una discussione accesissima tra deputati di maggioranza e opposizione, che sulla riforma hanno idee molto diverse.

I partiti di destra sono favorevoli alla riforma della giustizia perché, secondo loro, consentirebbe ai giudici di avere competenze specifiche senza essere condizionati da precedenti attività da pm o dalla frequentazione degli stessi ambienti dei pm. La riforma è particolarmente apprezzata da Forza Italia perché realizza una vecchia tesi di Silvio Berlusconi. Anche Azione, il partito di Carlo Calenda, ha votato a favore della riforma, mentre Italia Viva di Matteo Renzi si è astenuto.

Le opposizioni di centrosinistra sostengono invece che la riforma sia un modo per dividere e quindi indebolire la magistratura. Ufficialmente il Partito Democratico si è detto contrario alla riforma, ma al suo interno ci sono esponenti che in passato hanno proposto al loro partito la separazione delle carriere (e tra questi c’è l’attuale responsabile Giustizia della segreteria di Elly Schlein, Debora Serracchiani). Anche il Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra si sono opposti alla riforma: in un comunicato i leader di AVS in particolare hanno parlato di una avvenuta «svolta autoritaria».