Perché l’uragano Melissa è diventato così potente

Dall’incontro di forze atmosferiche quasi perfette si è sviluppata una delle più imponenti tempeste atlantiche di sempre

L'uragano Melissa nella fase di picco il 28 ottobre 2025 (NASA)
L'uragano Melissa nella fase di picco il 28 ottobre 2025 (NASA)
Caricamento player

Dopo avere causato grandi danni e devastazioni in Giamaica, mercoledì l’uragano Melissa ha raggiunto Cuba portando piogge e forti venti sull’isola. La potenza dell’uragano si è ridotta, ma continua a essere tra i più energetici degli ultimi decenni, con venti che nella fase di picco hanno raggiunto raffiche di 300 chilometri orari. Per i meteorologi Melissa è un uragano di portata storica, che si è sviluppato in un’area e con tempi ideali per essere così potente.

Gli uragani si formano quando la temperatura dell’acqua nell’oceano supera i 26 °C, come avviene spesso tra giugno e ottobre nei mari tropicali vicino all’equatore. L’aria calda e umida sale verso l’alto e lascia sotto di sé uno spazio vuoto che viene riempito dall’aria circostante, più fredda e secca. Si crea in questo modo un vortice di nubi che continua a crescere verticalmente fino a quando supera la troposfera, la parte dell’atmosfera in cui viviamo e dove si formano le nuvole, e raggiunge la tropopausa (una zona di transizione tra la troposfera e la stratosfera).

Nella tropopausa ci sono condizioni di temperatura e di pressione che impediscono ai moti verticali di continuare a salire, e che li costringono a espandersi lateralmente, un po’ come fa una secchiata d’acqua quando la lanciamo contro un muro. L’espansione laterale fa sì che il diametro dell’uragano continui ad aumentare e che la perturbazione accumuli ulteriore energia. Per effetto della rotazione terrestre e delle correnti in quota, la grande perturbazione si avvita su se stessa assumendo la classica forma a spirale che si osserva con le fotografie aeree e satellitari.

Rappresentazione schematica delle correnti all’interno di un uragano in formazione (NOAA)

La tropopausa non è sempre alla stessa altezza, perché gli strati atmosferici non sono distribuiti omogeneamente intorno alla Terra. Nella zona tropicale, l’aria è mediamente più calda e quindi c’è una maggiore espansione della troposfera verso l’alto, cosa che spinge a una quota più alta la tropopausa. All’equatore la tropopausa può raggiungere infatti un’altitudine di 16-18 chilometri, mentre alle medie latitudini come la nostra è solitamente intorno ai 10-12 chilometri. Più è alta la tropopausa, più è probabile che si sviluppino forti uragani di grandi dimensioni.

In questo video girato a bordo di un aereo dell’Aeronautica militare degli Stati Uniti che ha attraversato l’uragano, si vede chiaramente la parte in cui le nuvole smettono di crescere verticalmente e si espandono orizzontalmente, per via della tropopausa. L’espansione contribuisce alla formazione del cosiddetto “effetto stadio” nel quale le nuvole appaiono come spalti di uno stadio.

Melissa si è formato sopra la parte più calda dell’Atlantico in questo periodo, dovuta all’accumulo di calore nei mesi estivi nell’area dei Caraibi. La scorsa settimana diverse sonde sottomarine collegate alle boe di superficie avevano registrato una temperatura dell’oceano di 30 °C, circa 2-3 °C al di sopra della media, anche in profondità. C’erano quindi condizioni ideali per la produzione di correnti di aria calda e umida verso gli strati più alti dell’atmosfera.

Di solito le prime fasi di formazione degli uragani contribuiscono a rendere molto agitato l’oceano sottostante, facendo affiorare acqua più fredda che indebolisce la tempesta, perché riduce l’afflusso di aria calda che la alimenta. Nel caso di Melissa l’acqua era calda anche a grande profondità e questo ha fatto sì che potesse continuare a crescere a lungo, soprattutto nella fase in cui la perturbazione si muoveva molto lentamente sull’oceano. Era invece rapida la fase di intensificazione, cioè il processo in cui aumenta la potenza di un uragano, con un incremento della velocità dei venti che nel caso di Melissa è stato di oltre 50 chilometri orari in appena 24 ore.

Melissa è inoltre rimasto molto energetico più a lungo di quanto accada solitamente con gli uragani, che perdono potenza man mano che si allontanano dall’equatore raggiungendo aree in cui la tropopausa è più bassa. Alla riduzione della potenza contribuisce anche il passaggio degli uragani sulla terraferma, dove si riduce la quantità di aria calda proveniente dall’oceano e che alimenta la perturbazione. Melissa era però talmente energetico da essere passato quasi indisturbato sopra la Giamaica, mantenendo buona parte della propria energia ora riversata su Cuba.

Saranno necessari mesi di analisi dei dati raccolti in questi giorni per capire la portata complessiva di Melissa, il modo in cui si è formato e l’eventuale contributo del riscaldamento globale al fenomeno. Le misurazioni fatte in passato e l’analisi della temperatura, dell’oceano e dell’atmosfera, indicano che negli ultimi decenni le temperature medie sono aumentate sensibilmente e che questo rende più probabile la formazione di uragani di grande potenza.