In Tanzania la presidente uscente ha ostacolato con ogni mezzo le opposizioni
Samia Suluhu Hassan aveva promesso più democrazia ma poi è tornata all’autoritarismo: alle elezioni di oggi non ha veri rivali

Alle votazioni che si tengono oggi in Tanzania per eleggere presidente e membri del parlamento è quasi certa la vittoria dell’attuale presidente Samia Suluhu Hassan e del suo partito, Chama Cha Mapinduzi (Partito della Rivoluzione), che governa ininterrottamente dal 1961, cioè da quando il paese ottenne l’indipendenza dal Regno Unito. L’esito è prevedibile perché nell’ultimo anno il governo di Hassan ha ostacolato le opposizioni con ogni mezzo possibile, anche con metodi violenti.
Hassan governa dal 2021, quando divenne presidente senza elezioni in seguito alla morte del suo predecessore. Quella di oggi è quindi la prima elezione a cui si candida, e negli ultimi mesi ha fatto di tutto per assicurarsi di vincerla.
Per prima cosa, a vari oppositori è stato impedito di candidarsi. Il caso più rilevante è stato l’arresto di Tundu Lissu, leader del partito Chadema. Durante la campagna elettorale, Lissu era stato tra i più noti sostenitori di una riforma elettorale prima del voto, che garantisse elezioni libere e indipendenti. Il governo aveva criticato quella campagna e Lissu era stato accusato di tradimento e incarcerato.
Lissu, che rischia la pena di morte, è ancora in carcere e ha fatto sapere di essere stato messo in isolamento da settimane e di essere costantemente videosorvegliato. Come lui, vari altri politici e sostenitori dell’opposizione sono stati arrestati con accuse pretestuose.
Il partito Chadema ha deciso di boicottare le elezioni in segno di protesta per l’arresto di Lissu. A settembre la Commissione elettorale nazionale, che non è indipendente, aveva squalificato per vizi di forma anche la candidatura di Luhaga Mpina, l’unico altro politico ad avere qualche possibilità di vittoria contro Hassan. Mpina è il leader di ACT Wazalendo, il secondo partito più importante dell’opposizione dopo Chadema. Tolti Lissu, Mpina e il principale partito dell’opposizione, contro Hassan sono rimasti solo politici minori che non hanno reali possibilità di vincere.
Un discorso diverso va fatto per l’isola semi-autonoma di Zanzibar: anche qui si eleggono mercoledì presidente e parlamento locale, ma i partiti di opposizione (sempre Chadema e ACT Wazalendo) sono presenti nelle liste elettorali e competono regolarmente contro il Chama Cha Mapinduzi.
Nella Tanzania continentale la repressione non è avvenuta solo sul piano politico e giudiziario, ci sono stati anche casi di pestaggi e sparizioni forzate ai danni di oppositori e critici del governo di Hassan. A settembre del 2024 era stato trovato morto nella capitale Dodoma Mohamed Kibao, un politico di Chadema sparito qualche giorno prima: sul suo corpo erano presenti evidenti segni di percosse e del versamento di una sostanza acida. Il governo aveva condannato l’omicidio ma sono in molti a ritenere che abbia delle responsabilità.
Nei giorni scorsi è sparito da Dar es Salaam anche Humphrey Polepole, l’ex ambasciatore tanzaniano a Cuba che si dimise dal suo ruolo proprio per via della sua posizione critica nei confronti del governo. Il fratello ha raccontato alla stampa che quando sono entrati nella sua casa hanno trovato la porta sfondata, i cavi elettrici tagliati e una pozza di sangue. Secondo l’Ordine degli avvocati della Tanzania sono state almeno 83 le sparizioni forzate di politici, attivisti e critici del governo avvenute negli ultimi quattro anni.

Il leader di Chadema Tundu Lissu nel corso di un trasferimento durante la sua detenzione, 19 maggio 2025 (EPA/ANTHONY SIAME)
Il governo di Hassan non è sempre stato così.
Nel 2021 Hassan era la vicepresidente di John Magufuli, che morì improvvisamente a 61 anni. Magufuli era un presidente populista e autoritario, che in cinque anni e mezzo aveva reso la Tanzania un paese molto meno democratico: aveva represso le opposizioni e limitato la stampa e la libertà di espressione. Hassan al contrario si fece conoscere come una politica riformatrice e progressista. Dopo che divenne presidente per esempio annullò alcune delle leggi più repressive di Magufuli e approvò la liberazione di diversi oppositori politici.
Il modo di governare di Hassan è cambiato progressivamente mano a mano che si avvicinavano le elezioni, e che crescevano l’opposizione al suo governo e la possibilità concreta di non essere rieletta.
Oggi la Tanzania è un paese molto più simile a quello che era durante l’epoca di Magufuli, e nonostante le speranze dei primi mesi del governo di Hassan non si può dire che la democratizzazione del sistema sia mai avvenuta davvero. Sebbene il sistema monopartitico sia stato abolito nel 1992, il Chama Cha Mapinduzi non ha mai ceduto il potere all’opposizione in quasi 70 anni di indipendenza, e in passato (per esempio nelle elezioni che portarono Magufuli alla presidenza nel 2020) le opposizioni avevano già accusato il partito di brogli elettorali.
Inoltre nonostante un oggettivo progresso economico promosso soprattutto dal turismo e dagli investimenti stranieri, ancora oggi più di 29 milioni di tanzaniani (su circa 68 milioni) vivono sotto la soglia di povertà. Il divario tra le aree rurali e grandi città come Dodoma e Dar es Salaam, la capitale economica del paese, è ancora molto ampio. La maggior parte delle persone che vivono fuori dai centri urbani non ha accesso ad acqua corrente ed elettricità e fa affidamento su legna e carbone per scaldarsi e cucinare.
Anche per il timore della repressione governativa, per la scarsa speranza di avere un impatto sul risultato, e per la percezione di istituzioni generalmente lontane dagli interessi dei cittadini, ci si aspetta un’affluenza bassa. Già alle ultime elezioni, nel 2020, l’affluenza era scesa intorno al 50 per cento rispetto al 67 per cento di quelle precedenti, che si erano tenute nel 2015.
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